Taccuino Anastasiano è il proseguimento del Blog "Circolo Letterario Anastasiano", con il quale rimane comunque collegato (basta cliccare sul logo del CLA).
Sarà questo un blog essenzialmente dedicato alle recensioni, alle notizie letterarie, alle presentazioni di libri ed agli appuntamenti ed incontri relativi al nostro territorio vesuviano, e non solo: dedicheremo spazio a tutte le notizie interessanti che ci giungeranno, con lo scopo di fornire valide informazioni culturali e spunti di riflessione su temi di carattere poetico e letterario in generale.
Buona lettura e buona consultazione.

martedì 3 novembre 2015

RITA PACILIO: LA POESIA E LA FIABA

Nulla di più difficile, per uno scrittore, elaborare una fiaba. Intendo uno scrittore che normalmente sia dedito alla produzione di racconti e romanzi destinati al mondo degli adulti. Si tratta infatti di un genere particolare di letteratura, dove la narrazione deve seguire modalità e canoni aderenti e confacenti alla psicologia e alla mentalità dei bambini. Senza dilungarmi su banali e ovvie esplicitazioni sul come andrebbe progettata e scritta una fiaba, sul contenuto particolare della storia e sul linguaggio da utilizzare, adatto al mondo dei bambini, devo dire che è una modalità narrativa affascinante, non solo, ma anche altamente educativa e utilissima nell'accompagnare il fanciullo verso l'età adulta, verso la sua maturazione. E quando a scrivere fiabe è un poeta, una poetessa, il prodotto che viene elaborato può essere ancora più piacevole, istruttivo, importante dal punto di vista non solo ludico ma pedagogico e formativo.
Sono esistiti ed esistono maestri in questo campo, è vero, dai classici e intramontabili del passato fino ai più recenti scrittori per ragazzi, e non staremo qui ad elencare i tantissimi autori già noti a tutti. Ma il fascino della fiaba prende un po' tutti e prima o poi si prende la penna per narrare qualcosa che sia adatto per i bambini. Ma, attenzione, come dicevo prima non è cosa facile! Come per qualsiasi altro genere letterario, anche qui ci vuole intuito, competenza, soprattutto competenza e conoscenza del mondo dell'infanzia, sotto tutti i punti di vista, e poi tecnica narrativa e tanto cuore. Non è da tutti, dunque. Non tutti gli scrittori e i poeti possono avere questo "allargamento" di competenze e di cuore per poter inventare una fiaba: una fiaba che abbia un suo contenuto luminoso e illuminante, una morale forte, insomma, e fatta intendere ai bambini con parole semplici, storie lineari e coerenti, improntate al rispetto e alla conquista dei valori fondamentali della nostra umanità: la giustizia sociale, l'equità, la libertà, l'amore, la pace, eccetera…
Una di queste scrittrici, nonché poetesse, è senz'altro Rita Pacilio, un nome all'avanguardia nel panorama letterario italiano contemporaneo, un'autrice prolifica e di grande talento, che riesce a completare in sé gli aspetti complessi e variegati della scrittura, della poesia, della critica letteraria, del teatro e della musica, ed ora anche della fiaba! Il tutto con una integrazione ed una competenza, e con un cuore!, davvero eccezionali, tenendo anche in conto la sua vasta esperienza nel sociale.
"La principessa con i baffi" è una fiaba, edita per i tipi della Casa Editrice Scuderi di Avellino, che Rita Pacilio ha voluto sapientemente e generosamente donarci, e dico "donarci" riferendomi non soltanto al mondo dei bambini, perché spesso dobbiamo essere noi adulti a dover prendere a riferimento l'etica e la morale contenuta nelle fiabe!, con un'opera letteraria di valore, bella non solo tipograficamente, in quanto arricchita dai preziosi e indicatissimi disegni di Patrizia Russo, interessante e molto educativa.
La storia di per sé è semplice e lineare, come tutte le fiabe, perché l'importanza sta nella morale conclusiva, che il bambino lettore riesce senz'altro a cogliere immediatamente: il dover guardare nella profondità dell'anima degli altri esseri umani, oltrepassando le apparenze fisiche e gli atteggiamenti fuorvianti, e in ultima analisi, le origini, i credi, il colore della pelle. Un isegnamento importantissimo, in una società, come quella attuale, sempre più dedita alla chiusura, all'egoismo, al giudizio superficiale e anzi al pregiudizio!
Auguriamo dunque alla "Principessa coi baffi" di Rita Pacilio una lunga vita, a raddrizzare e a capovolgere i falsi autoconvincimenti di superiorità di una società pseudocivile, una lunga vita nelle famiglie dove il papà, la mamma o i nonni possano raccontare ai loro fanciulli questa storia straordinaria, ricavandone la dovuta luminosità e saggezza nel giudicare gli altri; nelle scuole, dove gli insegnanti avveduti e competenti possano con questa fiaba sfaldare i giudizi precipitosi, di primo acchito, che sovente gli alunni e i bambini esprimono nei confronti dei "brutti", dei malmessi, dei poveri, degli sciagurati, degli emarginati.
E i nostri auguri e complimenti anche alla bravissima Rita Pacilio, autrice di questa fiaba eccezionale!

Rita Pacilio, "La principessa con i baffi", Scuderi Editrice, Avellino, 2015


G.V. 3/11/15

domenica 16 agosto 2015

Una lettura di "Il genio dell'abbandono", il recente libro di Wanda Marasco

A volte capita di trovarsi fra le mani un libro che silenziosamente procede nella narrazione senza però scuotere o emozionare il lettore eccessivamente, e si continua piuttosto per educazione e rispetto nei confronti dell'autore, oppure per semplice curiosità, oppure perché nel frattempo non c'è altro di meglio a disposizione sotto l'ombrellone estivo.
Altre volte, forse poche volte, capita che il libro in questione sia davvero una specie di "bomba" benevola che esplode nella nostra mente e nel nostro cuore di lettori già dalle prime pagine, provocando un entusiastico coinvolgimento, una partecipazione totale, una condivisione direi assoluta. Si tratta di quei capolavori, purtroppo – ripeto – pochi, che emergono al pubblico quasi in sordina, senza il chiasso eccessivo dei mass-media e dei grandi poteri di una editoria che ormai segue principalmente le ossessive e rigide leggi di mercato, a scapito quasi sempre della buona qualità.
"Il genio dell'abbandono", di Wanda Marasco, è certamente uno di questi capolavori. Infatti il libro della Marasco si distingue nettamente dalla generalità di altri romanzi più o meno simili, per le peculiarità che cercherò di esporre brevemente, peculiarità e caratteristiche che difficilmente si possono riscontrare in narrazioni e storie che riguardano figure e personaggi storici di un certo rilievo: per lo più in questi casi l'autore si limita a riportare biografie più o meno dettagliate, più o meno idealizzate e fantasticate, con una scrittura a volte noiosa e inutilmente prolissa, distaccata e priva di vitalità.
Tutto il contrario di quello che accade leggendo questo bellissimo romanzo della Marasco, finalista alla prima edizione del Premio Letterario Neri Pozza ed anche entrato nella candidatura del Premio Strega di quest'anno.
Il fatto è che a mio modesto parere, ma credo che ciò possa essere condiviso dalla maggioranza dei lettori attenti, scrivere in libertà, come si suol dire, inventando storie e lasciando galoppare l'immaginazione, beninteso sempre in modo coerente e piacevole, può risultare facile: un romanzo d'avventure, una storia particolare ma del tutto immaginaria, senza nessuna pretesa di riferirsi a fatti realmente accaduti, insomma il classico romanzo tout curt, può essere scritto da parte dell'autore con relativa tranquillità e senza timore di esporsi a situazioni contraddittorie o non veritiere.
Diverso è il caso quando l'autore vuole narrare una storia vera, quindi nella fattispecie quando vuol dedicarsi a scrivere un romanzo storico, o come nel nostro caso la storia di un personaggio famoso. Qui l'autore non può "inventare", cioè non può uscire fuori dai limiti della storia e della verità dei fatti. Ma ne potrebbe sortire, come dicevo prima, un lavoro piatto, ovvio e distaccato.
Wanda Marasco è riuscita invece nell'intento di scrivere la storia di Vincenzo Gemito, il grande scultore napoletano vissuto a cavallo tra la fine dell'ottocento e i primi del novecento, distaccandosi nettamente da quella che poteva apparire una mera biografia del personaggio, pur incastonata in uno scenario in perenne movimento quali erano i tempi e le situazioni della particolare epoca storica.
Non è una semplice e piatta biografia, ma è davvero la ricostruzione fedele ma anche re-inventata di "Vicienzo", una storia affascinante e profondamente umana, profondamente viva e palpitante, in cui la "mano", anzi la penna, dell'Autrice, appare nettamente evidente, maestra, pur lasciando l'impressione di non esserci, di non lasciare sue impronte compromettenti: in tutta la storia appare soltanto, nitido, il protagonista in sé e le scene circostanti: il romanzo vive di vita propria e va sviluppandosi via via come se fosse lo stesso protagonista l'io narrante. Wanda Marasco, da buon regista, muove le fila della storia dietro le quinte, non vista, imparziale e perfetta nel suo ruolo. Tecnica sicuramente, ma non priva di cuore, di forte condivisione, quasi di velata complicità nei confronti del protagonista.
Una ricostruzione certamente fedele dell'intensa vita di "Vicienzo" Gemito, basata su una ricerca storica e documentale evidentemente molto ricca e approfondita; ma, e qui sta l'eccellenza dell'Autrice, nello stesso tempo la storia emerge in modo naturale, autonomo, attuale; e con una intensità espressiva tale da far sembrare i personaggi vivi accanto a noi, nello stesso momento della lettura, e le scene altrettanto reali e coinvolgenti.
Non staremo qui a descrivere la trama, che del resto non è l'aspetto principale del romanzo: ognuno può andarsi a leggere la vita dello scultore consultando libri e perfino Internet. Ma è la modalità, la struttura, l'intero schema del romanzo che, a mio giudizio, rende il lavoro della Marasco più che interessante, illuminato e originalissimo.
Tutta la vicenda umana, psicologica ed artistica del grande scultore napoletano, è trattata in modo puntuale e approfondito. Wanda Marasco ha saputo leggere con la sua grande esperienza narrativa nel cuore e nella mente del protagonista, quello che verosimilmente egli elucubrava nel tempo della pazzia quando era recluso nella Casa di cura Villa Fleurent, il progetto della fuga (con la quale inizia il romanzo), la sua ossessione artistica, la ricerca della perfezione, i viaggi a Parigi e a Roma, il suo sentirsi tradito e abbandonato dal mondo e dall'arte "ufficiale"; i suoi rapporti a volte conflittuali a volte amorevoli con la famiglia, i suoi amori. Tutto questo sempre narrato in modo diretto e vivido.
Contribuisce a rendere la storia di "Vicienzo" più attuale e realistica, la modalità linguistica: la Marasco utilizza in moltissimi tratti il dialetto, specialmente quando "Vicienzo" pensa e parla in prima persona; in questo modo il lettore partecipa alle vicende e ai dialoghi emozionalmente come se stesse lui stesso al centro della scena, hic et nunc. Il linguaggio è dunque immediato, comprensibilissimo (c'è anche un utile glossario al termine del libro).
Altra caratteristica degna di nota è lo scenario che avvolge e accompagna la storia di Gemito. Appare così, ad esempio, una Napoli che vediamo mutare lungo gli anni, dall'epoca della proclamazione dell'Unità d'Italia fino alla prima guerra mondiale e fino al tempo del Fascismo. Ma una Napoli che nello stesso tempo conserva le sue caratteristiche millenarie, le sue arie, i suoi sapori, i suoi vichi, il suo mare, i suoi personaggi…
Un libro davvero cólto, scritto con grande competenza e intuito, frutto di una ricerca accurata e realizzato con amore. Da leggersi quindi con amore, come un romanzo ma soprattutto perché offre senza dubbio spunti di riflessione sull'arte, sulla storia, sulla "pulitica", sulla psiche dei grandi artisti.

Wanda Marasco, "Il genio dell'abbandono", Neri Pozza Editore, 2015

Giuseppe Vetromile

16/8/15


"Vicie', e chi se ne fotte del sangue delle origini? Cazzate. E vedi il caso tuo. Non hai avuto padre e madre naturali, ma una forza del fato. Per te c'è stato un genio, il genio dell'abbandono, Vicie'. Perché se non ti abbandonavano tu forse non saresti mai diventato Gemito, il grande scultore Vincenzo Gemito!"

domenica 7 giugno 2015

Melania Panico e le sue "Campionature di fragilità"

Quando è la parola a costruire la realtà, il mondo, e non è, viceversa, il mondo a essere narrato, allora siamo di fronte a vera costruzione poetica. Siamo di fronte cioè ad un'invenzione forte e decisa che si concretizza, prende corpo, si attualizza attraverso la parola poetica, attraverso la giustapposizione nel verso dei termini consoni e adatti ad esplicitare non la realtà che è quella che è, davanti ai nostri occhi, ma la realtà nuova, quella che potrebbe essere e che in qualche modo deve essere. La realtà del sublimine e dell'inconscio, in fondo la realtà autentica e del sentimento, non tanto e non proprio la realtà fenomenologica, fisica, materiale, della quotidianità. I fatti sono ineluttabili, il mondo, si sa, va come deve andare e nessuno, per quanto si sforzi, potrà mai cambiare le regole del gioco, le leggi, le consequenzialità, le orbite dei pianeti. Resta però sempre un angolo di buio consistente e importante, e non mi riferisco a quello che poi la scienza va man mano illuminando e scoprendo, parlo bensì di quello che è e rimarrà sempre inesplicabile e in un certo qual modo irrisolvibile matematicamente e fisicamente: i sogni e l'amore, per esempio; la speranza e il tempo. In ultima analisi anche l'uomo, come essenza, al di là della sua materialità.
Ecco: la poesia reinventa e ricostruisce questo mondo "parallelo", più vero e più genuino. Lo ricostruisce di volta in volta, continuamente, come una turbina che genera nuova elettricità dal moto fisico delle pale. La poesia trasforma la materia. La poesia assorbe ed assume in sé gli strati più profondi della fisicità del mondo, fino a scavare nell'incomprensibile e nell'irrazionale per trarne lacerti di veridicità, di possibilità, di speranza addirittura. E' un ciclo inverso meraviglioso, come dicevo all'inizio, quando davvero la poesia riesce a "stanare" il mondo nascosto, sotterraneo e/o interno, latente in ciascuno di noi, per portarlo in superficie, alla luce del sole. E sono spesso cose "fragili", delicate, perché possono scomporsi maneggiandole, o possono sciogliersi come neve al sole.
Queste campionature di fragilità di Melania Panico sono l'esempio più indovinato e coerente di un lavoro poetico davvero illuminato e indovinato, capace di riportare a noi comuni individui le profondità e i misteri del mondo e dell'uomo, ricreando e rimodellando via via la materia e il sentimento con le parole e i termini, con i versi e con i brani poetici più consoni e opportuni. Si tratta di un lavoro inconscio, automatico, forse, che la poetessa riesce a trascrivere sulla pagina; ma certamente è un lavoro intelligente, poi, perché lei stessa ne diventa subito consapevole, appropriandosene immediatamente al fine di ricercare meglio, di scandagliare meglio, nel crogiolo delle emozioni e delle sensazioni sotterranee, e poi per poterle "lavorare" meglio, dal punto di vista stilistico e lessicale (non per nulla la nostra autrice è anche una bravissima filologa!).
Qui si tratta dunque di seguire, per certi versi, il suggerimento di Ungaretti, quando affermava che nel corpo poetico deve sempre aleggiare un'aura segreta, di mistero, di allusione: Melania Panico ha questa possibilità e capacità, e attua una scrittura che prende corpo da sé, irrorata da quella profondità misteriosa che non è tenebra senza senso, bensì vibrazione emotiva esprimibile soltanto attraverso una parola non usuale, non ovvia, non banale.
Non poteva dunque trovare titolo più indovinato, Melania Panico, per le sue "Campionature di fragilità", corroborato anche dalla specialissima e originale prefazione di Davide Rondoni, quando per esempio ribadisce che Melania "non è poetessa dell'incanto, ma della composizione." Verissima, questa affermazione! Le "fragilità", le cose "fragili" di Melania Panico, di cui lei stessa è, immediatamente dopo l'"ispirazione", consapevole, come dicevo, sono il prodotto del suo cesello, del suo lavorìo sulla parola, e quindi non vengono rese sic et sempliciter, crude e grezze, così come il cuor comanda, bensì subiscono il vaglio e il filtro severi di una creatività consapevole, libera e intelligente.
Non parliamo del contenuto, non è necessario e del resto non è rintracciabile a prima vista nelle poesie di Melania Panico, perché, come dicevo, ella si erge al di sopra di ogni banale e superficiale descrizione o figurazione delle cose che vede e che sente: non sono infatti poesie in cui possiamo trovare albe e tramonti, amori, voli d'uccelli e passeggiate sul lungomare, nei suoi versi, come sovente accade in molta letteratura poetica o pseudopoetica attuale. No, la nostra eccellente autrice anima le cose e il mondo, ricostruisce e rilancia il substrato segreto, celato nelle profondità del mondo e dell'uomo, mette in risalto ciò che noi, sopiti dall'ovvietà del quotidiano, non riusciamo più ad immaginare. Le sue poesie, i suoi versi spiazzano, ci costringono a seguire canali diversi, alternativi, ci costringono a ricercare altri significanti, inducendoci ad attivare quei meccanismi sacrosanti, finalmente, del sogno proiettato oltre il possibile, dell'immaginazione costruttiva. E' una poesia che ci prende per mano, ed è dunque anche per questo poesia autentica, poesia alta. Solo un paio di esempi, per illustrare questa presa, questo invito multiplo da parte della nostra autrice: "Dovrebbero pentirsi le navi / di oltraggiare il porto / dovrebbero seguire il loro destino lieve / appoggiarsi come a un'idea"; e ancora: "Fermenta l'aria adagiata alla porta: / la stanza è il luogo delle idee immature".
"Campionature di fragilità" è un corpo poetico diviso in due sezioni: "Cose accantonate" e "Rinascite". L'Autrice ha così voluto suddividere i suoi testi in questa sua prima opera letteraria; ma il filo del suo discorso poetico non si interrompe affatto, è continuo e lineare, persino logico, in quanto le "fragili" cose accantonate: riflessioni, "sorrisi tenuti da parte / custoditi sulla bocca dello stomaco", "le parole sul lastrico", assumono poi un'aura nuova, di speranza, di "rinascita" appunto, dove "Si sciolgono grumi di incomprensione ".
E' una poesia forte, essenziale, decisa, acuminata, dall'impronta personalissima, che non utilizza ridondanze stucchevoli, quella di Melania Panico; una poesia che ha l'urgenza di dire le cose ma le dice con il dovuto affondo poetico, con il dovuto spessore semantico.
Un'opera prima cui certamente seguiranno altre, perché con Melania Panico la poesia di questo primo scorcio del nuovo secolo ha forse trovato, tra gli emergenti, un esponente di riguardo, da seguire con grande attenzione e plauso.

Melania Panico, "Campionature di fragilità", Edizioni La Vita Felice, Milano, 2015; prefazione di Davide Rondoni.

Giuseppe Vetromile

28/5/15

"Si sciolgono grumi di incomprensione
le campionature di fragilità
hanno seguito la ferita gravida
si prestano al pensiero feroce
alla visione campale
lo strascico delle cose rapprese
è predisposizione alla cura
ricerca dell'ala guerriera.
Il peso da dare alle cose
lo scriviamo ad occhi aperti."

Melania Panico, classe 1985, vive e svolge la sua attività di insegnante di italiano e latino a Sant'Anastasia (Napoli). E' laureata in Filologia moderna. Alcuni suoi testi sono stati pubblicati in antologie. Ha partecipato e partecipa a diversi concorsi letterari nazionali distinguendosi sempre tra i primi classificati. Ha ottenuto recentemente il 1° Premio al Concorso "Ambrosia" di Milano, nel 2014, il 2° premio al Concorso "Conversiamo al Casale" di San Salvatore Telesino (Bn) sempre nel 2014, e nel 2015 è risultata vincitrice del 1° premio al Concorso "La Fenice aquilana". Ha inoltre ottenuto il Premio della Giuria alla XII Edizione del Concorso nazionale di Poesia "Città di Sant'Anastasia" del 2014. Frequenta gli ambienti letterari del territorio campano e anche nazionali, prendendo parte attivamente ad incontri di poesia, convegni, rassegne letterarie. E' frequentemente invitata come moderatrice e relatrice in occasione di presentazione di libri di poesia e di narrativa. Ha ricevuto riconoscimenti dalla critica di settore. 

sabato 23 maggio 2015

Il Festival Internazionale "Palabras en el Mundo" a Itri il 24 maggio


Si svolgerà ad Itri la IX Edizione del Festival Internazionale "Palabras en el Mundo", promosso in Italia dalla scrittrice Giovanna Mulas.
Molti gli autorevoli partecipanti, poeti, letterati e artisti.
Itri, Aula Consiliare del Comune, 24 maggio 2015, ore 19.

Tè e Poesia a Roma

Nuovo appuntamento con "Tè e Poesia" nella Sala da tè del bar Iris, in via Morgagni 30/L a Roma, martedì prossimo 26 maggio alle ore 18. Questo nuovo incontro della rassegna, che viene organizzata dall'Associazione Ciprioti in Italia N.I.M.A. con il Patrocinio dell'Ambasciata della Repubblica di Cipro in Italia, e con la collaborazione della Casa Editrice La Vita Felice, vedrà alla ribalta i due poeti campani Melania Panico e Giuseppe Vetromile, presentati rispettivamente da Rita Pacilio e Salvatore Contessini, con il coordinamento di Cinzia Marulli e di Diana Battaggia.
L'ampio e interessante programma dell'incontro prevede anche un reading poetico con Angela Kaimaklioti, presentata da Despina Theochraus in rappresentanza dell'Associazione N.I.M.A.
Previste anche letture del pubblico presente in sala, sul tema "Le radici, i fiori: dialogo tra passato e presente". Allieteranno la serata gli interventi musicali del Maestro Amedeo Morrone.

domenica 17 maggio 2015

Manuela Minelli e le sue "Femmine che mai vorreste come amiche"

Nel realizzare la mia recente antologia poetica "Ifigenia siamo noi", tutta al femminile ed ispirata al sacrificio della giovane figlia di Agamennone, Ifigenia per l'appunto, mi sono reso conto di quanto fosse vulcanico, prorompente, tempestoso ma nello stesso tempo dolce e delicato, l'universo femminile, sia per quanto concerneva il tema e i vari contenuti ad esso legato, ma sia anche per ciò riguardava la personalità stessa delle autrici, tutte poetesse di valore e con una spiccata e forte natura femminile. Non che gli uomini, poeti scrittori o semplici cittadini, abbiano temperamento e comportamento più dimesso, più tranquillo, ma sono convinto che l'animo femminile, che la donna, può essere capace di coprire tutto l'arco dei sentimenti, dall'infernale al paradisiaco, e in breve tempo anche. Non parliamo poi dei sacrifici, delle sopportazioni, ma anche delle manifestazioni dei sentimenti. Purtroppo leggiamo ancora e ancora constatiamo con quanta durezza viene trattata sovente la donna, quante violenze ella è costretta a subire ancora da parte di una società per nulla cambiata, quando si parla di parità e di rispetto nei confronti della donna.
Il discorso è lungo, naturalmente, e da che mondo è mondo, purtroppo, la donna subisce, ha subito anche nel passato, e chissà se un giorno si riuscirà con la cultura e con l'educazione di una nuova società che abbia cancellato tabù, preconcetti e pseudoreligioni, a raggiungere il perfetto e divino equilibrio naturale tra uomo e donna, sotto tutti i punti di vista.
Ma veniamo al libro. Ho voluto citare la mia antologia a mo' di esempio, trattandosi di un argomento che parla del sacrificio, del sacrificio in generale, ma soprattutto del sacrificio della donna, di tutto quello che deve subire e sopportare nella quotidianità e nella società.
Il libro di Manuela Minelli in qualche modo ribalta questa situazione. Non conosciamo le motivazioni precise che hanno suggerito all'autrice di scrivere questa raccolta di racconti, intimamente legati da un filo conduttore, da un leit-motive molto chiaro: la rivalsa delle donne sui soprusi, anzi la rivalsa della femmina, della femminilità, sulle ingiustizie inferte da una società ancora troppo aderente a certi schemi precostituiti, preconfigurati e purtroppo ancora tacitamente accettati. Non conosciamo le motivazioni, dicevo, e non sappiamo se le storie descritte dall'autrice sono autentiche o inventate, se in qualche modo l'autrice ne è venuta a conoscenza attraverso qualche particolare e dimenticata notizia di cronaca. Ma non è questo il punto. Anche se le storie risultassero inventate di sana pianta, partorite dalla prorompente creatività dell'autrice, esse sono verosimili, plausibili, potrebbero in effetti essere storie autentiche, forse con qualche piccola eccezione, come ad esempio il brano che si riferisce alla piantina amorevolmente curata dal protagonista e che si trasforma in pianta assassina, per gelosia, dimostrando così che la "qualità femmina" appassionata, capace di tutto, può anche appartenere ad una pianta! Racconto estremo, certo, quasi fantascientifico, ma tutto sommato anche probabile, se si esaminano i movimenti della pianta che fa gocciolare "accidentalmente" il suo veleno nel bicchiere di vino della rivale umana: una coincidenza strana, terribile, grottesca, ma pur sempre una coincidenza!
Non staremo qui naturalmente ad illustrare le tematiche, le motivazioni, le trame di tutti i racconti, altrimenti toglieremmo al lettore il gusto di scoprirle da solo. I racconti si fanno leggere con avidità, con curiosità, perché il lettore è invogliato a scoprire il finale a sorpresa che già intuisce e pregusta in un certo senso, che già in qualche modo molto vago immagina, ma resta comunque sempre colpito e quasi meravigliato di fronte allo sfogo enorme, forse esagerato ma sempre giustificabile, di queste "femmine" che hanno subito a lungo e che ora esplodono veramente, liberandosi del male e delle violenze subite. E lo fanno come dicevo in modo esagerato, ma sicuramente con una lucidità e direi anche con un'inventiva eccezionali. Sono reazioni che alla fine forse ci aspettiamo tutti, di fronte a tutte quelle ingiustizie, ma mai penseremmo che possano essere così fantasiose, così sadiche anche, così divertenti perfino, certe volte. Ogni storia ha un finale tragico, quasi logica conseguenza del male subito da ciascuna di queste "femmine", che certamente mai vorremmo per amiche ma solo se la nostra coscienza di uomini e di compagni fosse anche leggermente macchiata! Perché queste femmine sanno dare tutto, sanno sacrificarsi e sanno amare in modo totale e sanno affidarsi; ma se poi il compagno, l'amante, l'uomo, dovesse tradirle o dovesse anche "usarle" e sottometterle, con l'inganno e la violenza, allora sì, bisogna starne lontano, molto lontano!
Ironia e lucidità, amore intenso, innocenza, passione, delicatezza… queste le qualità delle nostre femmine, qualità autentiche e sincere, ma che subito si rovesciano nell'esatto opposto negativo quando le nostre protagoniste da troppo tempo e troppe volte subiscono le angherie e le violenze di certi uomini.

Un libro di racconti interessante, dunque, originale ed estremo. Ma ben scritto, fluido, scorrevole. 

Giuseppe Vetromile

Manuela Minelli, "Femmine che mai vorreste come amiche", La Vita Felice Edizioni, 2014. Prefazione di Cinzia Tani

lunedì 11 maggio 2015

Le forme della poesia, saggi critici di Raffaele Urraro

E' da poco stato pubblicato il libro "Le forme della poesia", di Raffaele Urraro, Edizioni La Vita Felice, con una approfondita presentazione di Rita Pacilio e una nota introduttiva altrettanto dettagliata dello stesso Autore. Si tratta di una interessante raccolta di saggi critici che Raffaele Urraro ha elaborato per 23 Poeti, tutte Voci rilevanti dell'attuale panorama poetico italiano, per l'impegno e per la qualità del dettato.
Come afferma lo stesso Autore nella sua nota, l'Antologia nasce con l'intento di far conoscere i saggi critici prodotti su raccolte di poesie di autori noti e meno noti, ma tutti meritevoli della dovuta considerazione critica.
Ciascun poeta è ampiamente considerato nella critica di Raffaele Urraro, ed inoltre la relativa pagina di critica è corredata anche da testi poetici tratti dai libri dei vari autori presi in esame da Urraro.
Ecco qui di seguito i 23 Poeti trattati:
Lucianna Argentino, Pasquale Balestriere, Matteo Bonsante, Franco Capasso, Domenico Cipriano, Floriana Coppola, Mariastella Eisenberg, Luigi Fontanella, Rubina Giorgi, Claudia Iandolo, Eugenio Lucrezi, Rossella Luongo, Ketti Martino, Cinzia Marulli, Giampiero Neri, Rita Pacilio, Gerardo Pedicini, Raffaele Piazza, Anna Ruotolo, Antonio Spagnuolo, Rossella Tempesta, Giuseppe Vetromile, Salvatore Violante.

Parte a Napoli il "Festival della Poesia Civile"

La Poesia a Napoli, in tutte le sue espressioni, per ribadire l'impegno e il ruolo sociale e civile che essa stessa si assume, attraverso le voci di tanti poeti, famosi e meno famosi, ma soprattutto dei bambini.
L'evento, organizzato dalla poetessa napoletana Elena Varriale, in collaborazione con la scrittrice avv. Argia Di Donato, si svolgerà il prossimo 15 e 16 maggio nella Biblioteca di Castel Capuano, a Napoli.
Ecco qui di seguito il nutrito programma.

I POETI VIANDANTI e NOMOS MOVIMENTO FORENSE, in collaborazione con l’ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA e L’ENTE BIBLIOTECA A. DE MARSICO, con il patrocinio del  CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI NAPOLI, presentano:


“LA LIBERTÀ È IL RESPIRO DEL MONDO”, FESTIVAL DELLA POESIA CIVILE
15 - 16 MAGGIO 2015
ENTE BIBLIOTECA A. DE MARSICO
- CASTEL CAPUANO – NAPOLI


---- Venerdì 15 maggio 2015 ----

- Ore 10.00 Apertura Festival
Presentazione Festival e saluti del Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, Avv. Flavio Zanchini.
- Ore 10.30 Manifestazione conclusiva del Progetto “Calliope e la Cittadella della Legalità” con i bambini dell’Istituto Comprensivo Baracca.
- Ore 11.30 Recital della poeta Marcia Theophilo sull’Amazzonia - candidata al Premio Nobel 2015.
- Ore 12.30 Presentazione della poeta Regina Resta e dell’Associazione Verbulandiart.
- Ore 12.50 Reading dei poeti: Sebastiano Adernò e Santina Lazzara.
- Ore 13.10 Proiezione dei video: “Terra mia” di Argia Di Donato e “Manifesto” del Movimento “Liberiamo il cratere”

- Ore 13.30 Pausa pranzo

- Ore 16.00 Intervento poetico di Sandra Cervone.
- Ore 16.10 Performance dei Poeti Viandanti: la poesia d’insieme “Come sui rami stanno le parole”- Silloge a più voci con Gesto Narrante Contact-Improvisation: Marion Nugnes e Loredana Canditone.
- Ore 16.20.Videopoesia (a cura del poeta Sebastiano Adernò): La neve di Salvatore Quasimodo – M'illumino d'immenso di Giuseppe Ungaretti – Sulla tomba di Pier Paolo Pasolini incontrai il suo barbiere –Respect! – Il poeta Patané legge per un riccio – Me – di – terra - neo di Daniele Casolino –Promo Take Care- Io sono l'acqua di Santina Lazzara.

- Ore 17.20 Reading dei poeti: Floriana Coppola, Costanzo Ioni, Melania Panico, Domenico Cipriano.


----- Sabato 16 maggio 2015 -----

- Ore 10.00 Apertura col soprano Lina Lanza e saluti del Presidente dell’Oua, Avv. Mirella Casiello.
- Ore 10.20 Videopoesia (a cura del poeta Sebastiano Adernò): Videowall Angye Gaona – Arrestate le rondini-La mer est pleine de corps.
- Ore 10.40 Reading del poeta Ottavio Rossani.
- Ore 11.00 Presentazione del gruppo “Ciochecainononsa” sulle tematiche della violenza sulle donne con la poeta Maria Teresa Infante.
- Ore 11.20 Assolo dell'artista Anna Cefalo.
- Ore 11.30 Reading dei poeti: Rita Pacilio - Giuseppe Vetromile con l’accompagnamento dell’arpa celtica di Anna Cefalo.
- Ore 12.00 Videopoesia: Tranche di U stisso Sangu- Change di Miché - Canto Corale per il Sud
- Ore 12.10 Reading dei poeti: Vera D’Atri, Paola Casulli, Mariastella Eisenberg, Ciro Tremolaterra.
- Ore 13.10 Intervento musicale dell’artista Ilva Primavera.

- Ore 13.30 Pausa pranzo

- Ore 16.00 Presentazione delle poete Antonietta Gnerre e Monia Gaita e del loro impegno per la cultura e le questioni del sociale.
- Ore 16.30 Performance teatrale di Angela Caterina.
- Ore 17.00 Reading (a cura di Giuseppe Vetromile) con i poeti Ferdinando Tricarico, Raffaele Urraro, Eugenio Lucrezi.
- Ore 17.45 Proiezione dei video: Novembre 1980-2010, video di Anna Ebreo e Federico Iadarola (Poesie tratte dal libro di Domenico Cipriano "Novembre" (Transeuropa Edizioni, 2010), voce di Enzo Marangelo, musiche e suoni di Fabio Lauria e Vito Rago, fotografie di Pino e Lino Sorrentini (reportage "23 novembre 1980 - Memoria ed Immagini"); Antonio Ebreo; Federico Iadarola.
- Quel grido raggrumato videopoesia di Rita Pacilio.

- Ore 18.00 Chiusura festival

domenica 10 maggio 2015

"Qualcosa sul vento", il nuovo libro di poesie di Lia Manzi

Sono convinto, e l'ho affermato anche in altre occasioni, che il titolo di un libro, che si tratti di un romanzo o di una raccolta di poesie, è sempre significativo, e quanto più l'autore riesce ad inventare, per il titolo, una frase, una proposizione spiazzante, illuminante, allusiva, al di là del contenuto, tanto più avrà guadagnato credibilità e accoglienza da parte del vasto pubblico. Un titolo che riesce ad incuriosire, a volte persino intrigare, meravigliare, è già un buon biglietto da visita. Perché nel titolo il lettore ci deve trovare non tanto il sunto del libro, poesia o narrativa che sia, ma il cuore, il punto fondamentale, od anche il punto iniziale, da dove poi si deve dipanare tutta la matassa del discorso: la luce del libro, l'anima, appunto.
"Qualcosa sul vento": è dunque questo il titolo originalissimo e simpatico della raccolta di poesie di Lia Manzi. Dico subito che si tratta di una pubblicazione tipograficamente bella, elegante nella sua sobrietà, ben curata. L'occhio vuole la sua parte, anche in poesia, e un libro la cui copertina e la cui confezionatura nell'assieme risultino gradevoli, calde, pulite, prenderà degnamente sulla scrivania del lettore o fra le sue mani direttamente. Ed anche il profumo! E' strano come queste caratteristiche non materiali ma squisitamente sensoriali che accompagnano un libro, specialmente un libro d'arte, come può esserlo un libro poesia, possano suscitare nel lettore una maggiore attenzione e vicinanza al libro stesso!
Il profumo della poesia, dunque! C'è qualcosa che unisce queste sensazioni sensoriali, il profumo, i colori, l'ascolto delle parole, dei versi, al vento: c'è qualcosa sul vento, ma direi anche "nel vento", dove già questo vento niente affatto impetuoso, o per lo meno non sempre impetuoso, è una leggera carezza che porta in sé o con sé tutto il bene, tutto il positivo e tutto l'amore possibile. Lia Manzi è lei stessa generatrice di questo vento, di questo soffio intimo e nello stesso tempo universale, capace di coinvolgere tutte le cose e tutti gli uomini se appena un po', distolti dalle vicende del quotidiano, si volessero soffermare ad ascoltarlo, a recepirlo, a farlo proprio.
La poesia di Lia Manzi è dunque essenzialmente concepita per offrire, per porgere a noi tutti questo soffio di vento, che è poi il soffio del suo cuore, della sua anima; e lo fa con il vento sereno ma costante, colmo di buone notizie e di amore, delle sue parole poetiche. Che sono parole morbide e vellutate, delicate, leggere come l'aria, ma profondamente sincere e coinvolgenti.
"Qualcosa sul vento" è una raccolta omogena di poesie che non afferma ma suggerisce, non accerta ma ci fa intuire, non ribadisce ma lascia nel cuore e nella mente un leggero velo di dubbio, appena quel pizzico giusto che ci serve per sognare e sperare, per desiderare. Il segreto filo conduttore che lega l'una all'altra le liriche di questa raccolta è appunto da ricercare in questa sua leggerezza, in questa sua levità e delicatezza, valori intrinseci della vita altrimenti impossibili da comunicare con soavità estrema sulle ali del vento: ecco dunque cosa possiamo trovare, o ritrovare, nel vento di Lia Manzi: quel sussurro intimo delle cose, quegli afflati d'amore e quei voli di gioia, quegli spasimi e quei trasporti, quei sogni, indispensabili sorrisi e speranze di cui si nutre, si deve nutrire, la vita di tutti i giorni!
Significativa sotto questi aspetti la poesia "Volitudine": "Ho amato poche volte, / mi sono persa in notti d'estate. / La mia poesia, / carne in versi… " ed anche: "Il vento scivola è un'entità musicale…" (Stagioni). Da notare che le poesie di Lia Manzi, in questa raccolta ma anche in generale (credo sia una caratteristica che la contraddistingua), non sono mai statiche, ferme, cioè non si riferiscono a situazioni e stati d'animo immobili, per non dire catartici, bensì sono dinamiche, hanno sempre in sé un moto, un viaggio verso, un andare oltre, forse verso la speranza, forse, anzi sicuramente, verso l'amore pieno: la poesia "Volitudine" ne è un esempio lampante. Ed è per questo che Lia pone nel vento la forza maggiore, il maggiore e migliore sostegno non solo per andare avanti, ma anche per portare a tutti il suo cuore, il suo sussurro intimo d'amore.

Le poesie di Lia Manzi dunque non sono mai slegate l'una dall'altra, ma costituiscono se ben leggiamo e ascoltiamo, un canto unico, che perdura nei nostri cuori, proprio come un delicato sibilo di vento. E' il vento che porta le novità della natura, gli aromi delle stagioni, i profumi dei nuovi campi in fiore, le voci degli uccelli e degli amanti. Così, per similitudine, la poesia di Lia manzi è "qualcosa sul vento", qualcosa che non si definisce materialmente ma sappiamo tutti che c'è: la quintessenza della natura e dell'uomo. E Lia descrive nelle sue poesie tutto questo, con delicatezza e passione, da poetessa sensibilissima quale è, completamente immersa nel cuore della natura e consapevole del suo segreto canto da offrire a tutti.

Giuseppe Vetromile

Lia Manzi, "Qualcosa sul vento", Edizioni IOD, 2015. Prefazione di Ciro Tremolaterra

lunedì 2 marzo 2015

Le poetesse Argentino, Marulli e Napolitano al "VIM" di Papiria, Napoli, il prossimo 25 marzo

Iniziata dall'ormai lontano mese di gennaio dello scorso anno, da un'idea dello scrittore Gennaro Guaccio e del poeta Giuseppe Vetromile, la rassegna di poesia denominata "V.I.M.", acronimo di "Vediamoci Il Mercoledì", è andata avanti riscuotendo sempre maggiori affermazioni e simpatie da parte del pubblico, dei poeti e dei cultori della letteratura in genere. La formula è semplice: tre poeti vengono invitati ad esporre ad un pubblico sempre molto attento, numeroso ed interessato, le proprie riflessioni sulla poesia, i loro progetti e le loro produzioni, soffermandosi poi a leggere brani tratti dai loro libri o ancora inediti. Seguono generalmente riflessioni, domande e commenti da parte del pubblico, per un giusto ed interessante approfondimento di temi e riflessioni che la poesia stessa riesce a suscitare e a stimolare in tutti i presenti.
In un anno di attività, grazie alla cortese disponibilità non solo dei poeti sempre presenti, ma anche dei curatori e della Libreria "Papiria" di Sergio Guida, sede degli incontri, nel centro storico di Napoli e facilmente raggiungibile, si sono alternati autori validissimi del napoletano e non solo, avendo accolto poeti provenienti anche da fuori provincia: Avellino, Caserta, Benevento, Salerno.
Con il prossimo incontro, il diciassettesimo della serie, previsto per mercoledì 25 marzo, la rassegna aprirà le porte, per così dire, a poeti di fuori regione Campania: saranno infatti ospitate tre voci importanti della poesia romana (ma importanti anche a livello nazionale), e cioè le poetesse Lucianna Argentino, Cinzia Marulli ed Anita Napolitano.
Si tratta di tre poetesse molto note nell'ambiente letterario e poetico non solo romano, come si diceva, ma in ambito nazionale e perfino internazionale, e che hanno all'attivo oltre a numerose pubblicazioni, una intensa attività di promozione culturale e di partecipazione ad eventi e incontri di carattere letterario.
Le tre poetesse interagiranno con il pubblico in sala, che ci auguriamo numeroso come sempre, leggendo i loro versi e rispondendo alle domande degli altri poeti e amici che vorranno intervenire.

L'ingresso è naturalmente libero e sarà molto gradita la presenza di tutti; ricordiamo dunque ancora il prossimo appuntamento: mercoledì 25 marzo 2015, ore 17.30, Libreria Papiria in via Ninni 7, Napoli, con Lucianna Argentino, Cinzia Marulli e Anita Napolitano.

mercoledì 25 febbraio 2015

50 Poeti in 50 colori, il nuovo progetto artistico di Prisco De Vivo

50 Poeti in cinquanta colori
(Dal colore al verso)
Installazione d’arte contemporanea per la mostra evento
I colori e la carne del poeta

In lunghi anni di ricerca artistica, sia in pittura che in disegno, mi sono sempre posto con attenzione al mistero dell’essere poeta,  all’elezione di essere ispirati, una di quelle attività dello spirito che non ha nessun confine, partendo dalla santità fino all’ubriachezza o alla totale perdita se stesso. Ho così realizzato nel tempo diversi ritratti di poeti e, da Antonin Artaud ad Arthur Rimbaud da Jean Jenet a Franz Kafka sempre sulla stessa idea, il sacro fuoco della poesia che diventa elevazione e si brucia velocemente come una foglia al vento.
Fra il 2006 e il 2007 ho iniziato a lavorare su un ciclo di opere ancora in progress dal titolo I colori e la carne del poeta omaggio al sangue e alla vita della poesia. Una colonna di fumo su sterpaglie di versi, pitture ed istallazioni dolci e drammatiche dedicate a poeti e poetesse come Silvia Plath, Anna Achmatova, Ingeborg Bachmann, Cristina Campo, Alda Merini, Emil Dickinson. Questo flusso di intima celebrazione è partito da Leopardi e si è concluderà con Pessoa.
 l’Ariel di Silvia Plath appare “come un oscuro manoscritto”, smembrato e decontestualizzato dai suoi spazi, si congiunge un immaginario che parte dalla carne e termina con le parole. In effetti la materia più vicina al colore o al verso rimane l’alchimia, la vera pittura come la vera poesia da essa si sostanzia, tutto sommato sono arti in metamorfosi, materia che si trasforma in luce, colore e carne. Non a caso l’acuto Manlio Brusatin nella storia dei colori dice che “la tragedia della materia colore viene recitata anche da Delacroix che avrebbe desiderato fabbricare come ultimo demiurgo, la carne con il fango. Il potere segreto del colore si detiene in un’arte combinatoria, additiva e sottrattiva come l’arcana  <<arte della memoria>>.” Ma con astuzia dice anche che “l’intelligenza è bianca , lo spirito è giallo, l’anima è verde, la natura è rossa, la materia è cenere, l’immagine può essere verde intenso, i corpi neri come la sostanza che si misura nella vita”.
Fin da giovanissimo, mi sono occupato in modo persistente del colore e delle sue problematiche, come pittore e poeta ho pensato di liberarlo nella pratica più complessa e più tradizionale della storia dell’arte ovvero il ritratto.
Il progetto ha come obiettivo preminente quello di evidenziare il forte legame tra colore, volto e poesia, difatti, i  ritratti si confronteranno con l’elegie tremanti e luminose degli stessi autori. Ogni poeta è un universo a sé, la sua idea è la costruzione di spazi infiniti e il suo pensiero rimane per sempre inscritto in ogni centimetro della sua faccia sia nella caduta che nella redenzione.
L’inizio di questo ciclo di ritratti parte dal colore nero per poi arrivare come un prisma iridescente al bianco, c’è un Montale che ha lo stesso colore della fiamma quando s’ingrandisce con il vento, o che dire di Campana, che ha lo stesso colore del vino essiccato o Caproni, come la bile di un animale, un verde veronese che si macchia di giallo. In questi ritratti saranno coinvolti tantissimi colori, un esperimento al confine fra testo e immagine.
Per quanto riguarda la tecnica utilizzata per la realizzazione dei 50 ritratti è inchiostro e tempera su cartoncino, il lavoro alla fine verrà consegnato al richiedente comprensivo di cornice di legno realizzata in modo artigianale.
L’opera è un’istallazione site specific e sarà presentata nell’occasione della mostra evento “I colori e la carne del poeta”. Mostra che per fine anno rientrerà in alcune sedi prestigiose della Campania tra questi il museo Pan, nell’occasione sarà realizzato un catalogo edito, con interventi di noti critici e storici dell’arte nonché di poeti di fama nazionale. Nel catalogo 50 poeti in 50 colori saranno inseriti tutti i nomi degli acquirenti (poeti e scrittori).
Qui sono elencati, in buona parte, i maggiori rappresentanti della poesia moderna nazionale ed internazionale, volti che passeranno dal colore al verso.

I 50 POETI IN 50 COLORI

1.      SALVATORE QUASIMODO
2.      DINO CAMPANA
3.      EUGENIO MONTALE
4.      FERNANDO PESSOA
5.      ALDA MERINI
6.      GIOVANNI PASCOLI
7.      GABRIELE DANNUNZIO
8.      GIUSEPPE UNGARETTI
9.      ALFONSO GATTO
10.  CONSTANTINOS KAVAFIS
11.  GIORGIO CAPRONI
12.  ANNA CVETOVA
13.  PER PAOLO PASOLINI
14.  MARIO LUZI
15.  FEDERICO GARCIA LORCA
16.  EMILY DICKINSON
17.  AMELIA ROSSELLI
18.  ANTONIA POZZI
19.  THOMAS ELIOT
20.  GIACOMO LEOPARDI
21.  WALT WITHMAN
22.  VLADIMIR MAJAKOVSKIJ
23.  RABINDRNATH TAGORE
24.  ARTHUR RIMBAUD
25.  CHARLES BAUDELAIRE
26.  GUIDO CERONETTI
27.  ELIO PAGLIARANI
28.  EZRA POUND
29.  PABLO NERUDA
30.  GUILLAIME APOLLINAIRE
31.   WISTAN HUNG AUDEN
32.   WILLIAM BUTLER YEATS
33.   ANTONIO MACHADO
34.   RAINER MARIA RILKE
35.   ALDO PALAZZESCHI
36.   JACQUES PREVERT
37.   RAFAEL ALBERTI
38.   LEOPOLD SEDAR SENGHOR
39.   CESARE PAVESE
40.   ANDREA ZANZOTTO
41.   WISLAWA SZYMBORSKA
42.   GREGORY CORSO
43.   SILVIA PLATH
44.   EDGAR LEE MASTERS
45.   ALEKSANDR A.BLOK
46.   NAZIM HIKMET
47.   GIORGIO BASSANI
48.   JACH KERUAC
49.   UMBERTO SABA
50.   PAUL VERLAINE
51.   JHON KEATS
52.   LORD BYRON
53.   EDOARDO SANGUINETI
54.   ALLEN GINSBERG

 Qui di seguito alcuni ritratti già realizzati:
Alda Merini

Gabriele D'Annunzio

Giuseppe Ungaretti



domenica 1 febbraio 2015

La "Maddalena" di Cinzia Demi

"Ero Maddalena, lo sento, lo so": così Cinzia Demi ripete in alcuni versi della sua recente silloge poetica "Ero Maddalena" (Puntoacapo Editrice). Ed è il reiterarsi di un concetto, di un'idea molto forte, quasi indispensabilmente gridata e spesso sottintesa in tutta l'architettura poetica della raccolta, per affermare e confermare una dualità femminile veramente integrata, indissolubile, nella figura e nell'animo della sua ideatrice e creatrice, la nostra poetessa bolognese Cinzia Demi.
Lungi dal voler raccontare, seppure in modalità poetica, la vicenda più o meno conosciuta, più o meno ambigua, della classica Maddalena (o delle varie Maddalena) che ha contornato la vita di Gesù Cristo, Cinzia Demi con "Ero Maddalena" ha voluto piuttosto immedesimarsi, in un certo senso, in quella figura, traendola dalla nebbiosità e dalle contraddizioni insite in questo enigmatico personaggio del Vangelo, e integrandola addirittura in sé, come donna del quotidiano, e come donna del mondo, di qualsiasi spazio e tempo.
L'intelligente operazione poetica che compie dunque Cinzia Demi in questo suo interessante libro, edito da Puntoacapo e con prefazione di Gabriella Sica e postfazione di Rosa Elisa Giangoia, è proprio questo lungo narrare/narrarsi, fortemente intrecciato e integrato, in un monologo/dialogo attraverso il quale le passioni, i sentimenti, le frustrazioni, gli inganni, i timori di "quel" tempo", emergono in superficie e divengono i medesimi di "questo" tempo. Non si tratta di sovrapposizioni, di rielaborazioni, di spiegazioni di come può essere "ora" la Maddalena di "allora", bensì di una vera e propria ri-creazione della Maddalena nella sua interezza indipendentemente dalla sua collocazione spaziale e temporale: "il tuo volto non lo scordo / lo cerco tra la gente / e qui sono tutte donne / certo rose tra le rose / si credono regine / vanno col vestito nuovo / le scarpe lucidate / alla santa degli impossibili / oggi raccomandate / io mi piego alla pietà / di uno che ho visto morto / che non è più nessuno".
Credo che nessuno mai, come e prima di Cinzia Demi, abbia pensato di produrre un'opera in versi, un poemetto intero, ispirato alla figura della Maddalena, o forse ci sarà stato qualche raro caso sporadico che ha soltanto sfiorato l'argomento, prendendo a prestito qualche brano o qualche riferimento particolare della storia; forse il motivo va ricercato nella figura troppo ambigua o sfuggente di questo personaggio, di questa "peccatrice-santa". E quindi, il voler riferirsi a Maddalena, con le modalità già esposte più sopra, è stato a mio avviso, da parte della nostra poetessa, un atto di grande coraggio ma anche di grande intuizione, nonché di consapevolezza del proprio talento poetico e della propria capacità di elaborazione originale, "sui generis", grazie alla quale ne è sortito un libro piacevolissimo, intenso, fluido, appassionante. Vi sono concentrate tutte le donne di tutti i tempi, con le loro passioni, le loro incertezze, i dolori e le gioie, la ricerca assidua e a volte drammatica di una identità e di una dignità molto spesso ignorata e calpestata ("è un nome che cerco / a tentoni nel fetido sottoscala / dove passo le notti…"; "è un nome che cerco / nel sogno del mattino / l'unico che ricordo…"). Cinzia Demi, in "Ero Maddalena", ha voluto e saputo assumere in sé tutte queste caratteristiche femminili, al di là di ogni retorica e di ogni giudizio e pregiudizio da parte di una società, in tutti i tempi, che colpevolizza e frustra la donna per il solo fatto che ella va incontro alla propria libera espressione, nella vita di tutti i giorni, negli affetti, nell'amore. Così il riferimento alla storica vicenda di Gesù, che contorna la storia di Maddalena-Cinzia, è simbolicamente indicativo e propositivo di una affermazione di identità piena e libera, in mezzo ad una società che ancora penalizza e inculca negli animi femminili forti sensi di colpa.
Per questo, il poemetto di Cinzia Demi, che scorre come acqua sorgiva nel cuore dei lettori attenti, grazie anche al suo fluire continuo, senza vane interruzioni e distoglimenti, basandosi su una struttura poematica dal verso breve e ricco di assonanze e rime interne, si pone sicuramente sui livelli più alti dell'attuale poesia italiana.

Cinzia Demi, "Ero Maddalena", Puntoacapo Editrice. Prefazione di Gabriella Sica. Postfazione di Rosa Elisa Giangoia.

Giuseppe Vetromile
31/1/15


Il II Volume dell'Antologia "Transiti Poetici"

CIRCOLO DELLE VOCI, Vol. I°

"Gusti di...versi", Ristorante Albergo dei Baroni, Sant'Anastasia (Na), 13 marzo 2015

La mostra "Il respiro della materia / I colori dell’anima"

Due poesie di Gerardo Pedicini

L’ombra del tempo

(per Sergio Vecchio


L’ombra del tempo

è ferma alla tua porta

e tra i rami

vigila la civetta,

cara agli dei.

Nel silenzio della notte

avanza il giorno tra le spine

e il vento rode

le vecchie mura sibarite

intrise d’acqua e di memorie.

Dorme nel profondo la palude:

il Sele discende lento fino al mare

e svuota le tombe dei sacrari.

Ora è l’antica Hera,

ora è Poseidon a indicarti il cammino.

Alla deriva del vento

il tuo passo di lucertola

è rapido volo d’uccello.

Sotto la tettoia scalpita il treno

sugli scambi e rompe le stagioni

nel vuoto delle ore.

Nel laboratorio acceso di speranze

resti tu solo a sorvegliare

il perimetro antico delle mura

mentre vesti d’incenso i tuoi ricordi

tracciando sul foglio linee d’ombra.

***

I segni della storia

(ad Angelo Noce)


Cinabro è il fuoco dei ricordi:

passano rotte di terre nella mano

e sfilano i segni della storia.

Ombre e figure

alzano templi alla memoria.

Nell’antico corso del mare

si sospende la luce del giorno.

È un sogno senza fine.

Transita il tempo da un foglio all’altro

e incide in successione

ciò che già fu, ciò che sarà

nella tenue traccia del tuo respiro.

(Gerardo Pedicini)

Il libretto "I Poeti della rosa"