IL NETTARE
E LA MUSA
SEI POETICHE DI INTRIGANTE SFACCETTATURA
Venerdì 7 giugno,
presso la sala Audiovisivi del Centro Sociale “Samantha Della Porta”, alle
17,30, sarà presentato il corposo volume di poesia “Il Nettare e la Musa” (PER
VERSI Editore, Grottaminarda – AV), un antologico fresco di stampa.
Sei autori evocano
l’Ineffabile o da esso sono convocati per celebrare i misteri di un genere
letterario d’atavica origine, osannato o discreditato, praticato con ardore e
affanno, oppure malvolentieri tollerato, a seconda delle sensibilità dei mai
storicamente numerosi fruitori e dei meriti/demeriti dei poeti (geniali, o
mediocri imbonitori che siano).
Nel caso specifico
ritroviamo cinque nomi di maestri del verso, Ciufo, Della Fera, Faia,
Saveriano, Vetromile (variamente ispirati e alla bisogna abili architetti di
scaltre fantasmagorie) e scopriamo un giovane esordiente, sicura cifra in
progress sul fronte accidentato e inflazionato del poliedrico poetare (Gerardo
Iandoli).
Partiamo da Anna
Ciufo, che dipinge con le parole, doma intemperanze, esorcizza ossessioni,
adesca demoni multisensòrii, grazie a un estetismo del logos da laboratorio di
ricerca e da oscillografo del tessuto emozionale: bella, imprevedibile e
pulsionale, si concede interamente alla Musa, e dalla Musa è accolta in
sororale abbraccio.
Faia e della Fera,
volponi delle scritture, imbibiti di coscienza sessantottina, sono critici
delle crisi sociopolitiche di un’epoca fosca e incerta, che ha ereditato il
peggio dal già tellurico e ambiguo scenario del novecento; il primo regge la
bandiera dell’impegno civile, carezza il busto dell’ Arlecchino di
Biancolelliana memoria e “castigat ridendo mores”, nel suo sbertucciare con
mordacità la classe dei soloni da degenere democrazia né risparmiando i cives parolai
e complici compiacenti, che continuano ad alimentare il circuito del
vassallaggio da piccola barattopoli personale; il secondo, pittore e
filodrammatico, accosta il linguaggio colto delle antiche aule ambiziose ad
urgenze moderne e smanie, slogature e feticci contemporanei, scinde l’uomo
nella sua dualità, ne fa la scansione impietosa fino alla ferita più intima e
profonda.
Saveriano corteggia
la Musa più raffinata e colta, agita fascine negro-neuromantiche, interpellando
numi teatrali e letterari, ricorrendo quasi con un gusto per il crudele a
cattedrali di non senso e complicati sistemi allegorici, passando però, con
diversa pelle, per i fondali della memoria zeppa di colori e sussurri, fino a
farsi naufragatore perfido e impietoso dei navigli sui quali viaggiano figure
grottesche o laide, uomini e donne d’impudìca avidità e di valor nullo.
Vetromile di sé è
nocchiero nell’imminenza dell’ignoto, un architetto delle vite altrui su carta
e mastro vetraio della propria e loro caducità: imbussola l’ego e l’altro da sé
in un procedere parallelo, adoperando parole e immagini che sono in fondo
cuscini di solitudine nella compostezza di una disperazione brancolante. Guarda
al mondo con dignità oracolare, con solletico semico del logos lo decritta
nella polisemia e nella polimorfia del suo verso impegnativo, di lussuosa
agglomerazione. E in fondo medita sulla condizione del travet, stringendone
delicatamente, o avvincendone in una morsa, il patrimonio simbolico. Imbocca
sovente le traiettorie di un’angoscia urbana che potrebbe disgregare nel
rimpianto e nella frustrazione il diritto a un bilancio (etimologicamente
precario), e la coesistenza macerata con l’insondabile dell’Es, che proiettiamo
nelle edificate cattedrali del Motore Divino.
Gerardo Iandoli si
cela, si perveste e si denuda per l’annunciato, agognato, inafferrabile/in
afferrato amore; ma il suo erotismo assume i connotati del pretesto allucinato
per riciclare intuizioni sul banale e sul sublime, e presto si fa psiche con
l’occhio dell’alacre, imperterrito osservatore.
Claudia Iandolo,
icona irpina di una scrittura graffiante e pellucida, incantevole e vellutata,
aspra e cauterizzante, gioca il ruolo di critico, affiancata da Paolo Saggese,
leader della poesia irpina da riscattare e da rimuovere dalla nicchia
dell’artata dimenticanza.
Il giovane
cinefilo-critico cinematografico Angelo Iermano, studioso, tra le altre cose,
di linguaggi visivi, modera le esuberanze di autori e relatori, mentre attori
storici e recenti dell’Associazione Logopea, Mena Matarazzo, Costantino
Pacilio, Michele Amodeo, la piccola e bellissima Giovanna D’Onofrio,
declameranno senza enfasi brani scelti dai poemetti contenuti nell’antologia
esemplare. Intermezzi musicali a cura di Lucio Lazzaruolo e Raffaele Villanova,
al secolo membri portanti della band Notturno Concertante.
Lunedi 10, invece,
il gruppo va in trasferta a Salerno, dov’è ospitato, grazie ai buoni uffici di
Anna Ciufo, dal Centro Artisti
Salernitani. Cambio di guardia per il sostegno critico, affidato ai brillanti
universitari Davide Pollina e Riccardo Picariello, che dopo una panoramica
sugli sbocchi della poesia dal Novecento al secolo in corso, illustreranno le
ragioni poetiche e setacceranno intenti, permanenze e camminamento dei sei
eliconici “dallo sguardo lungo”.
La poesia,
dichiarata morta puntualmente, puntualmente si protesta araba fenice: fin
troppo vitale, deve essere filtrata cum grano salis dall’ingorgo dei pennaroli
all’assalto di notorietà esasperate ed esasperanti nel sottobosco di
gruppuscoli impavidi e imprudenti, per la gioia di C.E. dal nodo scorsoio
sempre pronto a spezzare l’osso del collo.
“Il Nettare e la
Musa” riunisce poeti non modaioli, lontani da atteggiamenti castaroli,
impegnati a non celebrare se stessi e a non tallonare testimonial più o meno
illustri per avallare e coonestare il proprio estro creativo. Posizione ormai
abbandonata dalla valanga melmosa di impettiti improvvisatori, zitelle
isteriche, madri pazzoidi, matusalemme da cartolina seppiata, giovani imbecilli
esaltati, furbe meretrici di provincia e imbambolati scopiazzatori di pietre
miliari, che ormai si studiano (male e superficialmente) soltanto a scuola.
LOGOPEA