E'
caratteristica essenziale in molti poeti la ricerca di una dimensione altra,
per lo più disgiunta dalla materialità delle cose e allocata in un empireo che
simboleggia la spiritualità, l'amore, il sacro. Questa ricerca indubbiamente
parte innanzitutto da se stessi, nel prodigarsi a dragare nei labirinti della
propria anima lacerti e spiragli di luce, di speranza, e di tutti quei valori
che possano elevare la persona alla dimensione celeste, avvicinandola a quella
meta che nel progetto della creazione può chiamarsi anche paradiso. E'
innegabile che ogni uomo tenda a superare, e a superarsi, quelle barriere
fisiche e materiali che in qualche modo gli consentano di raggiungere, o almeno
tendere, ad una certa realizzazione di sé, che non sta tanto in una mera e
statica acquisizione di beni materiali, quanto nell'agognare quella famosa
"felicità" o stato di grazia che sia, che soddisfi non solo il corpo,
ma anche e soprattutto l'anima e il cuore.
Che
poi questa ricerca venga estrinsecata, seguita e sviluppata anche in modo
creativo ed artistico, nella fattispecie tramite la poesia, è segno di
sensibilità personale non indifferente, in quanto l'artista, il poeta, ha il
coraggio di mettere in chiaro ciò che gli scaturisce da dentro, ciò che gli detta il cuore. In un mondo in cui i
modelli predominanti sono il rivestirsi di corporeità e di ricchezze materiali,
da seguire come obiettivo primario della quotidianità, un canto elevato alla
purezza dei cieli sembrerebbe anacronistico se non addirittura bambinesco: c'è
altro a cui pensare nella vita di tutti i giorni, c'è da sbarcare il classico
lunario e non c'è spazio per intime riflessioni trascendentali. Ma il poeta è e
resta sempre un puro d'animo, egli vede sempre al di là del velo opprimente che
copre il mondo di grigio e di organigrammi, sente il discorso della natura e lo
fa proprio, nonostante tutte le ottenebrazioni e i frastornamenti offerti dalla
pubblicità più subdola. Si tratta di liberarsi da ogni falsità terrestre, e
questo al di là di ogni tipo di religione, chè è primario in noi, nell'uomo,
questo senso vago, indeterminato ma sussistente, dell'al di là, inteso come
luogo sublime ed eternamente pervaso di gioia, pace e felicità. Si tratta di
raggiungere l'empireo, appunto, ricostruire l'antico filo di resistente
speranza che, in fondo, c'è qualcosa di vero oltre la dimensione materiale
dell'uomo.
Felice
Serino è dunque uno di questi poeti che vede e che sente: "insaziata parte / di cielo / vertigine della prima / immagine / e
somiglianza / vita / lacera trasparenza / sostanza di luce e silenzio / sapore
dell’origine / fuoco e sangue del nascere" ("Lacera
trasparenza"); sostanza di luce che permea tutta la sua raccolta poetica
"D'un trasognato dove", inesauribile canto di ricerca
dell'"oltre", assidua ed appassionata narrazione poetica del suo
cercare quel "dove" che possa riscattare il senso materiale della
vita, che possa nobilitare l'uomo.
"In una goccia di luce /
s’arresterà questo giro del mio sangue / lo sguardo trasparente riflesso / in
un’acqua di luna / sarò pietra atomo stella / mi volgerò indietro sorridendo /
delle ansie che scavano la polpa dei giorni / delle gioie a mimare maree /
nullificate di fronte all’Immenso / allora non sarò più / quell’Io vestito di
materia / navigherò il periplo dei mondi / corpo solo d’amore / in una goccia
di luce":
è il testo iniziale della raccolta di Felice Serino, testo emblematico che in
qualche modo concentra e riassume la sua idea progettuale, e poetica, di un
distacco dalla materialità al fine di trovare e provare, svestito di materia, quel nocciolo di verità assoluta, quei
sentimenti puri non più inquinati o compromessi dalle implicazioni del corpo.
Si tratta dunque di un discorso poematico di lungo respiro, tutto intriso di
alta religiosità, una religiosità che richiama sicuramente la fede cristiana,
pur non citando direttamente situazioni, fatti e personaggi della dottrina
classica, ma traendo da essa i riferimenti più sinceri e puri: "- e gli esecrabili / delitti e la vita
/ tradita? / e il sangue innocente? / -non ricordo: in verità ti dico /
l’Albero di sangue / virgulto di mio Figlio / il Giusto / si è ingemmato / ed
espande nei secoli / le sue radici / in un abbraccio totale" .
La
raccolta poetica di Felice Serino "D'un trasognato dove" è divisa in
cinque parti: "Di palpiti di cielo", "Del trasognare",
"La parola che fiorisce e dintorni", "Dell'impermanenza", e
"Dediche".
Pur
mostrando una complessiva omogeneità di progetto, costituita essenzialmente
dalla trama religiosa di cui sopra, che lega internamente tutte le composizioni
della raccolta, nella quale l'autore riesce ad estrinsecare e a sviluppare
esaurientemente tutta l'ispirazione primaria attorno alla quale si addensa il
suo dettato, in mille diverse angolazioni, la quinta parte,
"Dediche", si discosta alquanto dal tema; si tratta qui di poesie
ognuna "dedicata" ad un personaggio particolare (tra cui anche la
moglie), che hanno evidentemente colpito la sensibilità del poeta, muovendolo
ad esprimere considerazioni e riflessioni dal contenuto veramente nobile e importante,
come ad esempio nella poesia dedicata ai migranti: "uscire / dal porto -il cuore in mano- / issare la vela della / passione
/ dietro lo stridulo / urlo dei gabbiani / tra le vene bluastre del cielo /
foriero di tempesta / squarciare / nel giorno stretto / il grande ventre del
mare / che geloso nasconde / negli abissi / i suoi figli" ("La
ricerca" – Ai migranti di Lampedusa).
La
scrittura poetica del Serino si presenta decisa, fluida, chiara, priva di
tentennamenti espressivi e di vaghezze retoriche; è d'altra parte una scrittura
non priva di un certo sapore lirico, e strutturata sulla base di versi brevi,
in cui ogni termine, ogni parola, è fortemente risuonante.
Ne
risulta complessivamente una raccolta di sicuro spessore poetico, interessante,
propositiva oltre che riflessiva, che certamente induce nel lettore attento
ottimi spunti di ulteriori considerazioni sia sul piano religioso che sul piano
sociale.
Giuseppe
Vetromile
3/1/15