Taccuino Anastasiano è il proseguimento del Blog "Circolo Letterario Anastasiano", con il quale rimane comunque collegato (basta cliccare sul logo del CLA).
Sarà questo un blog essenzialmente dedicato alle recensioni, alle notizie letterarie, alle presentazioni di libri ed agli appuntamenti ed incontri relativi al nostro territorio vesuviano, e non solo: dedicheremo spazio a tutte le notizie interessanti che ci giungeranno, con lo scopo di fornire valide informazioni culturali e spunti di riflessione su temi di carattere poetico e letterario in generale.
Buona lettura e buona consultazione.

domenica 9 febbraio 2014

"La mia vita davanti", un libro di poesie di Silvia Verdoliva

Il diario è un intimo strumento letterario su cui riversare, quotidianamente, le proprie riflessioni, i propri dubbi, e le gioie e i dolori, insomma tutto ciò che muove e sommuove il proprio animo. Un alter ego con cui dialogare, da cui trarre spunti e annotazioni per imprese e progetti futuri. Lo si tiene segretamente nel cassetto, perché è una reliquia preziosa, è la nostra stessa persona, senza falsi cliché e senza infingimenti: naturale e autentica. Ma rimane un diario, un quaderno con un grande valore umano ma senza nessun valore letterario (a meno che non sia un'opera importante, del tipo "Il diario di Anna Frank). Quando poi questo "diario" assume le fattezze di un'opera letteraria di un certo rilievo, e nella fattispecie un testo poetico, allora la cosa assume tutto un altro aspetto.
Nella maggior parte dei casi, però, quando il poeta esprime le sue riflessioni e il suo stato d'animo in versi, in un lungo viaggio che parla dei propri problemi esistenziali, può cadere nella trappola dell'autoreferenzialità, del "piangersi addosso" e della melensaggine, tutte caratteristiche che denotano negativamente un percorso poetico che dovrebbe, in effetti, estrapolarsi da tali contaminazioni sentimentali. E' sorprendente, dunque, come in "La mia vita davanti" di Silvia Verdoliva, tale estrapolazione, tale distacco, si renda evidentissimo, e in modo pregevole. Il "diario" di Silvia, che è un diario di vita, di vissuto, di aspettative tradite, di sentimenti intensi provati e negati, è coraggiosamente narrato in versi, versi che trasportano già in sé la forza e l'intensità delle prove giornaliere, sia dal punto di vista sentimentale che da quello umano e sociale, che la nostra autrice ha affrontato finora. Voglio dire che esprimere la propria vita e i propri sentimenti in poesia, lungi dalla mera annotazione, per quanto accorata e intensa, sulla pagina del proprio "diario", diventa operazione raffinata, valida artisticamente e culturalmente, aderente appunto ai canoni e alle modalità essenziali dello scrivere di poesia: laddove è opportuno e, direi, sostanziale, distaccarsi ed elevarsi dal piano invischiante dell'immediatezza sentimentale, per produrre con maggiore "scienza" e padronanza e tecnica e stile, il dire poetico. Un po' come quando in polizia viene affidato il "caso" ad altri perché il commissario di turno, essendo direttamente coinvolto in quanto parente dell'ucciso, potrebbe non essere del tutto lucido razionalmente nell'affrontare la situazione.
E Silvia Verdoliva, scrivendo questa bella raccolta poetica, riesce a vedere "razionalmente" davanti a sé, davanti alla sua vita, imbrigliando bene tutto il subbuglio interiore che in primis genera la sua forza poetica, la sua creatura poetica; e lei è ben consapevole di ciò. La poesia non nasce semplicemente dall'esperienza di vita, ci vogliono poi attrezzature adatte e particolari inclinazioni, capacità quasi innate che devono essere costantemente coltivate e interrogate, per procedere sempre meglio lungo la strada della poesia, del fare poesia. Altrimenti si ricadrebbe nella semplicità del "diario", che tutti in qualche modo sono in grado di scrivere.
Come ogni buon libro di poesie che si rispetti, anche questo di Silvia Verdoliva, "La mia vita davanti", ponendosi, ripeto, molto più in alto, artisticamente parlando, rispetto ad un semplice diario, espone un progetto itinerante, un "viaggio", che prende, sì, spunto dalla propria intima storia personale, dal proprio vissuto, ma nel contempo riesce ad estrapolarsi dal "personale", per divenire condivisibile universalmente: è questo, come dicevo, il pregio della poesia, e in particolare quella di Verdoliva: saper tradurre, rendere, riplasmare, il proprio vigore sentimentale, in modo tale che il lavoro poetico derivante sia effettivamente episodio, fatto, operazione artistica e letteraria alta, valida per tutti. E il suo è un viaggio che parte da lontano, dai primi sentimenti genuini di ragazza pronta alla vita, sentimenti che restano poi, via via, incapsulati ma non frantumati, non sfumati, dalla durezza della realtà quotidiana, dalle spigolosità della vita e, anche, dalla cattiveria delle persone vicine. "La mia vita davanti" è un affrontare consapevole il futuro, sulla base, potremmo dire, delle esperienze trascorse, negative alcune, sì, ma sufficienti a donare all'autrice una veste più robusta, uno sguardo più perspicace sul mondo: è una presa di coscienza poetica coraggiosa, direi quasi eroica; un "ritorno al mondo" del tutto consapevole: "Invece oggi torno al mondo: / rocambolesco mio tonfo! / In uno spazio troppo angusto, / in un dolore assai profondo. / E allora, / vorrei che fosse pioggia / vorrei che fosse morte, / e vorrei restare sola / stanotte. / E vorrei che fosse vento / vorrei che fosse terra: / rossa terra nuova, / terra garganica..."
Ma poi il viaggio continua e l'autrice si rende conto che "E' finito il tempo / di tutte le cose. / Gettane qualcuna / nel pozzo dei ricordi / e pescane, di tanto in tanto, / una stilla di sorriso. / E' finito il tempo / di ballare. / Lascia al palco la bambina / e dille, senza compianto, / che più non crescerà. / E' finito il tempo di scherzare, / di dar matto - sonnecchiare. / Non è più tempo / dell'estate. / Delle stelle cadenti, delle / cosce bollenti - insensate risate!" ("Equinozio d'autunno"); sono versi che risuonano di una amarezza contenuta, quasi a convicere se stessa che la realtà quotidiana è purtroppo altra cosa rispetto ai sogni e alle dolcezze del passato.
Alle disillusioni, ad un amore tradito, spezzato, Silvia Verdoliva risponde con la positività della sua "Vita davanti", inserendo nei suoi versi tutta la forza, la sua veemenza, ma nello stesso tempo la sua dolcezza e la sua gradevole musicalità che rendono il suo dettato poetico fluido e ritmato, certamente elevato. Il libro è ben progettato, è evidente il lavoro di "confezionamento" dell'autrice nel realizzare tutto il suo "viaggio" nei propri sentimenti, e che riesce ad interessare intensamente il lettore fin dalle prime pagine.

Siamo quindi di fronte ad un'opera letteraria di ottimo livello, e chiudiamo queste riflessioni sul suo libro augurando alla giovane poetessa stabiese un percorso sempre più ricco di meritati successi poetici.

Silvia Verdoliva, "La mia vita davanti", Edizioni Creativa, 2013; prefazione di Sergio Saggese.

G. Vetromile
9/2/14

venerdì 7 febbraio 2014

Una nota di Raffaele Liguoro sul libro "Ero il ragazzo scalzo nel cortile" di Raffaele Urraro

Nell’accostarsi al titolo : Ero il ragazzo scalzo nel cortile, bisogna considerare due motivi
fondamentali : il ricordo e i mutamenti storici. L’opera si pone come un diario, a cui l’autore affida,
i sacrifici, i sogni, gli aneddoti di una vita, offerti dal contesto storico-culturale del dopoguerra e
dalle condizioni umane di una famiglia che traeva dalla terra il seme della speranza.
Così l’autore, nell’esprimere le verità elementari delle cose che lo circondano, assume un
linguaggio semplice, discorsivo, da diario appunto, evitando descrizioni affettate di un mondo
amato ed ora lontano; rifugge da stili e schemi ormai canonici della tradizione letteraria, alludo ai
clichès, abusati in poesia, dell’alba, della sera, degli alberi, del sole, delle stagioni ed di ogni altro
elemento della natura per esprimere le più varie condizioni umane. Si può dire come in questo caso
che la natura, in Urraro, sia vista essenzialmente per le sue componenti pratiche perché la
realtà in cui viveva richiedeva solo praticità e forza di braccia (imparai che la terra/produce per
amore/ anche quando riceve/ mille ferite al giorno).
Dall’infanzia alla maturità: l’autore stabilisce una continuità fra presente e passato, o meglio un
ritorno al passato che domina il presente. Come in un viaggio di andata e ritorno nei luoghi della
memoria, anche il lettore viene spinto e sospinto nella terra degli altri, prima, e nel liceo fatto di
straforo, dopo. Il poeta dipinge ai nostri occhi lo sguardo che aveva da bambino, le sbuffate
nascoste, quando nei giorni di festa accompagnava il padre nei campi o quando lui stesso alle tre di
mattina (o di notte) si portava al mercato su un’arrancante bicicletta. Da ogni testo traspare sempre
la riconoscenza e l’amore per la propria famiglia, soprattutto per il padre, che ha sempre creduto in
lui, tanto da spingerlo col suo orgoglio cocciuto/di bracciante agricolo agli studi. Se ne ricorderà
sempre il poeta, ricordando, in simbiosi, la maschera di polvere e sudore del padre.
L’avvicinamento dei concetti e dei valori di mezzo secolo fa mette rapidamente in luce la differenza
col modo di vivere di oggi. Ma questa lontananza chiarisce e rivela una somiglianza tra i sogni dei
ragazzi di allora e quelli di oggi.
Il volume presenta molte iterazioni (una su tutte : nella terra degli altri), che rappresentano uno dei
fattori più potenti di coesione e di organicità. Naturalmente non basta la semplice iterazione a creare
quell’equivalenza che è propria della poesia, perché non tutte le ripetizioni sono pertinenti se non
diventano elementi costruttivi del testo, se non entrano, cioè, in un più vasto processo di
correlazione fra le parti dell’insieme. I titoli di ogni poesia costituiscono dei veri e propri incipit
che proseguono solo per pochi versi( eccezioni sono : Quando salirai sull’albero delle ciliegie, quando mi fermo a navigare nei ricordi, per scrivere questi versi e solo le mani di mio padre che vanno a formare le vere e proprie liriche, inserite in questo organigramma dei ricordi) poiché Urraro
sorprende le attese del lettore virando il discorso verso la direzione opposta, per marcare una
particolare struttura sintattica o per sottolineare iconicamente il senso del discorso.
Raffaele Urraro poeta, critico letterario, professore di italiano e latino, raffinato studioso del maggior poeta dell’ottocento (Leopardi) e non solo, a differenza di quanto si possa aspettare, non tiene conto degli alti esempi dei suoi predecessori e adotta volontariamente, un verso tutt’altro che classico nel metro, in cui è abolito l’uso della punteggiatura in favore di un’espressione più diretta, che stia a sintetizzare la velocità del pensiero e l’irruenza degli imput emotivi.
In questo volume, Urraro si pone come cronista, egli racconta senza troppa enfasi (questo è uno dei
pregi dell’opera) la vita non di una sola famiglia ma di una società , andando quindi dal particolare
all’universale; parlando in prima persona egli riporta trasformazioni e mentalità di una generazione
che aveva voglia di evolversi. Tutto questo è eloquentemente espresso nella poesia: eravamo in tre
a sognare. Infatti in questo testo il poeta non parla solo del suo desiderio di divenire partecipe della
vita pubblica e di trovare una collocazione nella giostra mirabolante della vita, ma include altri due
ragazzi che insieme a lui condividevano gli stessi sogni. Il vero pregio dell’opera rimane quello di
lasciarsi leggere con gusto e partecipazione. In questo senso il volume può essere paragonato ad un romanzo. Ma perché limitarsi a un paragone, quando in ogni pagina si può leggere una microstoria che rinvia inevitabilmente alla pagina seguente, e la seguente, sviluppando quella precedente, apre ad un nuovo ciclo? Ma perché limitarsi ad un paragone se ogni pagina non è altro che un divenire, un progressivo focalizzarsi dell'attenzione sul singolo individuo e sulle persone a lui vicine? Ma perché limitarsi ad un paragone se ogni pagina di questo libro contribuisce a creare una trama,
un’ambientazione e a narrare una vicenda? Perché limitarsi a paragonare questo libro ad un romanzo quando esso è un romanzo?
(Raffaele Liguoro)

Il II Volume dell'Antologia "Transiti Poetici"

CIRCOLO DELLE VOCI, Vol. I°

"Gusti di...versi", Ristorante Albergo dei Baroni, Sant'Anastasia (Na), 13 marzo 2015

La mostra "Il respiro della materia / I colori dell’anima"

Due poesie di Gerardo Pedicini

L’ombra del tempo

(per Sergio Vecchio


L’ombra del tempo

è ferma alla tua porta

e tra i rami

vigila la civetta,

cara agli dei.

Nel silenzio della notte

avanza il giorno tra le spine

e il vento rode

le vecchie mura sibarite

intrise d’acqua e di memorie.

Dorme nel profondo la palude:

il Sele discende lento fino al mare

e svuota le tombe dei sacrari.

Ora è l’antica Hera,

ora è Poseidon a indicarti il cammino.

Alla deriva del vento

il tuo passo di lucertola

è rapido volo d’uccello.

Sotto la tettoia scalpita il treno

sugli scambi e rompe le stagioni

nel vuoto delle ore.

Nel laboratorio acceso di speranze

resti tu solo a sorvegliare

il perimetro antico delle mura

mentre vesti d’incenso i tuoi ricordi

tracciando sul foglio linee d’ombra.

***

I segni della storia

(ad Angelo Noce)


Cinabro è il fuoco dei ricordi:

passano rotte di terre nella mano

e sfilano i segni della storia.

Ombre e figure

alzano templi alla memoria.

Nell’antico corso del mare

si sospende la luce del giorno.

È un sogno senza fine.

Transita il tempo da un foglio all’altro

e incide in successione

ciò che già fu, ciò che sarà

nella tenue traccia del tuo respiro.

(Gerardo Pedicini)

Il libretto "I Poeti della rosa"