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mercoledì 22 maggio 2013

Le "Dicotomie" poetiche di Nazario Pardini


Perché questo titolo così particolare per un libro di poesie? Particolare e perentorio, aggiungerei, diverso certamente dalla maggior parte delle pubblicazioni poetiche, per le quali l'autore generalmente usa come titolo una delle poesie della raccolta, magari quella più significativa, per lui, o quella che più delle altre racchiude in sé il progetto comunicativo dell'intero libro. Ed è giusto, perché il titolo di un libro, che sia esso un romanzo, un saggio, una raccolta di poesie o altro lavoro scritto, deve in qualche modo richiamare l'attenzione sul contenuto, ne deve essere il faro attraente e non disperdente, ne deve essere il nocciolo, il nucleo, come il protone centrale dà significato e identità all'atomo e alla materia.
Dicotomie, dunque, è un titolo che fa eccezione, pur nella sua eccellenza ed eleganza verbale. Non è il titolo di una delle poesie inclusa nel libro, ma è comunque vero che il lettore attento (e amante della poesia, di una poesia niente affatto superficiale e blanda, bensì di una poesia di alto spessore qualitativo, sia per contenuti che per modalità espressive...) saprà individuare nel lungo e interessante filo poetico che l'autore, Nazario Pardini, tesse, i nodi, le coincidenze, i rimandi e le fondamenta comuni che uniscono una poesia all'altra. C'è infatti un cemento sostanziale di fondo, in questo libro, e parlo naturalmente della sezione dedicata alle poesie (il libro, come vedremo, è arricchito da altre sezioni letterarie), che riesce a tenere insieme gli impeti quasi deflagranti di un dire poetico a 360 gradi, come suol dirsi, e che accolgono le esigenze proprie del poeta a voler considerare il tutto osservato e osservabile anche se separato e lontano vicedenvolmente nel tempo e nello spazio. Da qui le dicotomie di Nazario Pardini, che non vogliono esprimere, secondo me, delle nette e categoriche divisioni o visioni del mondo in due parti opposte, una positiva (bene) e una negativa (male), bensì vogliono essere delle continue "oscillazioni" tra due o più poli di idee e contenuti, che nell'insieme si integrano e si completano: "Ora è il cemento che guasta la collina / e di gran corsa / l'odore di benzina. Su quel colle / non profumano più quei bocci bianchi; / ci sono uccelli a branchi / che roteano largamente sui detriti / dell'ingordigia umana" (Da: "L'albero in cima alla collina", p. 25): è solo un esempio, questo brano, e ne possiamo trovare tantissimi altri, di come già all'interno dei testi sia possibile trovare alternanze dicotomiche che separano, in questo caso, la natura (l'albero in cima alla collina, gli uccelli a branchi) dall'opera disgregante dell'uomo (l'odore di benzina, l'ingordigia umana).
Si avverte dunque una continua tensione, nei testi "dicotomici" di Nazario Pardini, uno stiramento, una elongazione, se è lecito usare questo termine tecnico, che tuttavia mantiene intatto il corpo poetico di ciascuna lirica, non provoca sfilacciamenti estremi o mancanze improvvise di territorio poetico. La poesia di Nazario Pardini è infatti un dire circolante e continuo tra quei "poli" referenziali di cui accennavo più sopra: la memoria e i ricordi, ad esempio ("Si faceva la guerra di trincea / nel fango delle veglie o del solleone ... / C'è un sorriso / sul volto della Storia ed il destino / gioca con noi e cambia il suo cammino", da "La trincea", p. 30); e poi l'umanità ("... Allora esisto. Esisto veramente. E questa è vera gioia. Quel che provo / è il potere dei sensi che traducono / il bello delle cose in sentimenti, / anche se vani, prova della vita", da "La prova della vita", p. 58), e poi ancora la natura: ("Mi trovo qui davanti alla tua piana / frammentata da scaglie ed azzannata / da becchi di uccelli voraci / ed insaziabili. Mare! Mio mare!...", da "Colloquio con il mare", p.61; e ancora:"Pinete, / sempreverdi alcove / di contorno al mare; / il profumo acuto / del pino e del moreccio / si fanno più forti in autunno..."; da "Pinete", p.113).
In questa circolarità di temi (che denota una profonda sensibilità umana e sociale da parte dell'Autore, anche e soprattutto nei confronti del mondo abitato e della natura, nel trattare con esiti poetici davvero alti la summa delle sensazioni, delle immagini, degli stati d'animo, delle riflessioni, degli slanci di rammarico ma anche di gioia, che troviamo disseminati in tutto il percorso lirico del libro), Nazario Pardini propone al lettore il suo progetto poetico, che è completo, che è originale, che è valido sotto tutti gli aspetti e modalità che fanno di un libro di poesie qualunque un ottimo libro di poesie, riferimento importante in questa piazza poetica attuale, dove il qualunquismo letterario la fa purtroppo da padrona.
Il linguaggio poetico di Nazario Pardini è molto interessante: è lirico, è diretto, a volte è colloquiale, un colloquio che è essenzialmente rivolto a se stesso, quasi un voler accentuare nelle domande che egli si pone, nelle riflessioni sulla vita e sulla morte, il mistero che non può esere risolto umanamente, ma soltanto in un confronto diretto con Dio ("Ti ho posto la questione tante volte! / Questa mia vita, / questa mia vita mia che cosa è mai?... Io la vorrei da Te, dall'Alto Cielo / la conferma che esisto per davvero", da "Esisto?", p. 42).
Il libro è complesso, tipograficamente gradevole e ben strutturato. Impreziosito dall'ottima e puntuale prefazione di Sandro Angelucci, è diviso in tre "scomparti" o sezioni poetiche: "Dicotomie", "Racconti in versi", e "D'amore di terra e di mare" (in cui sono raccolte le liriche dal 1980 al 1990). Vi è poi una lunga ed esauriente sezione del libro, alla fine, dove sono riportate le tantissime "Note critiche", prefazioni e commenti vari sulla poetica del nostro Autore. Tutto ciò fa risaltare ancora di più il prezioso messaggio poetico di Nazario Pardini, il quale si colloca certamente tra gli autori di poesia, e non solo, più validi e significativi dell'attuale panorama letterario nazionale.

Nazario Pardini, "Dicotomie", The Writer Editions, Milano, 2013; prefazione di Sandro Angelucci. Pagg. 317, Euro 16,00

Giuseppe Vetromile
22/5/13

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Due poesie di Gerardo Pedicini

L’ombra del tempo

(per Sergio Vecchio


L’ombra del tempo

è ferma alla tua porta

e tra i rami

vigila la civetta,

cara agli dei.

Nel silenzio della notte

avanza il giorno tra le spine

e il vento rode

le vecchie mura sibarite

intrise d’acqua e di memorie.

Dorme nel profondo la palude:

il Sele discende lento fino al mare

e svuota le tombe dei sacrari.

Ora è l’antica Hera,

ora è Poseidon a indicarti il cammino.

Alla deriva del vento

il tuo passo di lucertola

è rapido volo d’uccello.

Sotto la tettoia scalpita il treno

sugli scambi e rompe le stagioni

nel vuoto delle ore.

Nel laboratorio acceso di speranze

resti tu solo a sorvegliare

il perimetro antico delle mura

mentre vesti d’incenso i tuoi ricordi

tracciando sul foglio linee d’ombra.

***

I segni della storia

(ad Angelo Noce)


Cinabro è il fuoco dei ricordi:

passano rotte di terre nella mano

e sfilano i segni della storia.

Ombre e figure

alzano templi alla memoria.

Nell’antico corso del mare

si sospende la luce del giorno.

È un sogno senza fine.

Transita il tempo da un foglio all’altro

e incide in successione

ciò che già fu, ciò che sarà

nella tenue traccia del tuo respiro.

(Gerardo Pedicini)

Il libretto "I Poeti della rosa"