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domenica 6 luglio 2014

La "Fragilità" nella Poesia di Ester Cecere

Che la poesia possa essere una cosa fragile, è anche possibile. Non nel senso che possa rompersi fisicamente, certo, ma piuttosto nel senso metaforico di delicatezza, di particolare trasparenza, di cristallinità e di immediatezza. Maneggiarla con cura, come suggerisce volutamente l'autrice di questa interessante raccolta di poesie nel sottotitolo, è dunque indispensabile, se non perentorio, necessario, se non si vuol "rompere" l'atmosfera e l'incantesimo della intera costruzione poetica. Che è fragile, come ancora una volta il titolo, in modo molto esplicativo, afferma, perché potrebbe sfumare, sfrangiarsi, sfinire nella generale disattenzione della quotidianità, frettolosa e indirizzata verso altri obiettivi, più specificatamente legati al sopravvivere in questo tempo così caotico e in perenne crisi sociale e di valori. Voglio dire, che la poesia va letta e interiorizzata con attenzione, per integrarla nel proprio io direttamente, altrimenti c'è il rischio di banalizzarla, di non capirla: può volatilizzarsi, infrangersi sugli scogli metaforici di una realtà dura e difficile, come quella attuale: è fragile, la poesia, in questo senso, dunque. Ed Ester Cerere, che non allontana da sé la sua esperienza come ricercatrice biologa dall'atto creativo letterario, sa bene quanto sia importante porgere agli altri, ma soprattutto a se stessa, un mondo, quello poetico appunto, che ha una intelaiatura sottile, delicata, serica.
E' esplicativa in questo senso la prima poesia del libro, dal titolo che s'inquadra molto bene nel complesso disegno poetico propositivo dell'autrice, "Bolla di sapone": D'aliti di vento sospinta, / elegante e fragile, / nell'aria danzo. / Iridescenze mi vestono. / L'arcobaleno mi adorna. / In me il mondo si specchia. / Oscuro d'insidie / il mio cammino. / Il volo d'una farfalla, / la foglia d'un pino, / temo. / Persino, il dito d'un bambino.
E' evidente l'immedesimazione dell'autrice, che canta in prima persona, nel tessuto fragile della vita, della quotidianità, e quindi la sua poesia, fragile, ricalca la delicatezza e la sobrietà, l'innocenza persino, di certi aspetti della natura e del sociale. Ester Cecere scrive quasi con distacco le sue liriche, ma è un distacco tecnico, non emozionale, un distacco che indica rispetto e pregio del contenuto, del detto, non quindi un'assenza di sentimento, un freddo narrare asettico. Anzi, la sua "delicatezza", la sua "fragilità", assume un carattere di precisa affermazione, a volte anche di velata denuncia: Maschere / d'un carnevale impazzito / nella mente impotente / s'accalcano, / grottesche, cudeli, irridenti, / all'angolo il cuore mettendo..."
Abbiamo detto del distacco, ma è proprio grazie a questa sua prerogativa, quella di accostarsi quasi in punta di piedi al mondo poetico, al suo mondo poetico, con grande rispetto e persino timore, che Ester Cecere riesce a creare strutture poetiche dolci, apparentemente pacate, ma cariche di una visionarietà eccezionale, che abbraccia la natura e l'uomo, visti con i propri occhi, la propria mente e il proprio cuore: è lei stessa infatti la protagonista del suo dire poetico, è lei al centro delle cose e del panorama intero. Osservatrice attenta, la nostra autrice riesce a penetrare nel minimalismo delle cose per ricavarne frutti di grande valore etico e morale, fino ad allargare il suo orizzonte privato a quello più ampio dell'intero consesso umano: "Ch'io viva / godendo / di notti senza luna. / Ch'io viva / fremendo / allo schiaffo del maestrale. / Ch'io viva / apprezzando / il volo basso dei pipistrelli"...
Ester Cecere si pone dinanzi al mondo e al suo mondo non con atteggiamento di sufficienza né di ampollosa certezza: lei non ama definire le cose, ma lascia sempre un velo di incertezza, di indefinitezza, il che non è pessimismo o riluttanza o rassegnazione di fronte all'inestricabile visione e percorso della vita, bensì consapevolezza poetica del grande mistero universale che ci circonda e ci permea, nonostante l'affannosa ricerca di un perché ancora squillante, sempre risuonante nel nostro cuore e nella nostra mente: "Incerta / la mia alba. / Nel mare rosso sangue / annaspo."
Questo libro di Ester Cecere, impreziosito da un'ottima e dettagliatissima prefazione di Nazario Pardini, davvero è da "maneggiare con cura", anzi da apprezzare e gustare con cura, perché offre motivi di riflessione da cogliere attentamente nei suoi versi, e tra i suoi versi, brevi, delicati, ma veramente profondi.

Ester Cecere, "Fragile, Maneggiare con cura", Kairos Edizioni, Napoli, 2014. Prefazione di Nazario Pardini.

Giuseppe Vetromile

6/7/14

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Due poesie di Gerardo Pedicini

L’ombra del tempo

(per Sergio Vecchio


L’ombra del tempo

è ferma alla tua porta

e tra i rami

vigila la civetta,

cara agli dei.

Nel silenzio della notte

avanza il giorno tra le spine

e il vento rode

le vecchie mura sibarite

intrise d’acqua e di memorie.

Dorme nel profondo la palude:

il Sele discende lento fino al mare

e svuota le tombe dei sacrari.

Ora è l’antica Hera,

ora è Poseidon a indicarti il cammino.

Alla deriva del vento

il tuo passo di lucertola

è rapido volo d’uccello.

Sotto la tettoia scalpita il treno

sugli scambi e rompe le stagioni

nel vuoto delle ore.

Nel laboratorio acceso di speranze

resti tu solo a sorvegliare

il perimetro antico delle mura

mentre vesti d’incenso i tuoi ricordi

tracciando sul foglio linee d’ombra.

***

I segni della storia

(ad Angelo Noce)


Cinabro è il fuoco dei ricordi:

passano rotte di terre nella mano

e sfilano i segni della storia.

Ombre e figure

alzano templi alla memoria.

Nell’antico corso del mare

si sospende la luce del giorno.

È un sogno senza fine.

Transita il tempo da un foglio all’altro

e incide in successione

ciò che già fu, ciò che sarà

nella tenue traccia del tuo respiro.

(Gerardo Pedicini)

Il libretto "I Poeti della rosa"