
Che la poesia possa essere una cosa fragile, è anche
possibile. Non nel senso che possa rompersi fisicamente, certo, ma piuttosto
nel senso metaforico di delicatezza, di particolare trasparenza, di
cristallinità e di immediatezza. Maneggiarla con cura, come suggerisce
volutamente l'autrice di questa interessante raccolta di poesie nel
sottotitolo, è dunque indispensabile, se non perentorio, necessario, se non si
vuol "rompere" l'atmosfera e l'incantesimo della intera costruzione
poetica. Che è fragile, come ancora una volta il titolo, in modo molto
esplicativo, afferma, perché potrebbe sfumare, sfrangiarsi, sfinire nella
generale disattenzione della quotidianità, frettolosa e indirizzata verso altri
obiettivi, più specificatamente legati al sopravvivere in questo tempo così
caotico e in perenne crisi sociale e di valori. Voglio dire, che la poesia va
letta e interiorizzata con attenzione, per integrarla nel proprio io
direttamente, altrimenti c'è il rischio di banalizzarla, di non capirla: può
volatilizzarsi, infrangersi sugli scogli metaforici di una realtà dura e
difficile, come quella attuale: è fragile, la poesia, in questo senso, dunque.
Ed Ester Cerere, che non allontana da sé la sua esperienza come ricercatrice
biologa dall'atto creativo letterario, sa bene quanto sia importante porgere
agli altri, ma soprattutto a se stessa, un mondo, quello poetico appunto, che
ha una intelaiatura sottile, delicata, serica.
E' esplicativa in questo senso la prima poesia del libro,
dal titolo che s'inquadra molto bene nel complesso disegno poetico propositivo
dell'autrice, "Bolla di sapone": D'aliti di vento sospinta, /
elegante e fragile, / nell'aria danzo. / Iridescenze mi vestono. / L'arcobaleno
mi adorna. / In me il mondo si specchia. / Oscuro d'insidie / il mio cammino. /
Il volo d'una farfalla, / la foglia d'un pino, / temo. / Persino, il dito d'un
bambino.
E' evidente l'immedesimazione dell'autrice, che canta in
prima persona, nel tessuto fragile della vita, della quotidianità, e quindi la
sua poesia, fragile, ricalca la delicatezza e la sobrietà, l'innocenza persino,
di certi aspetti della natura e del sociale. Ester Cecere scrive quasi con
distacco le sue liriche, ma è un distacco tecnico, non emozionale, un distacco che
indica rispetto e pregio del contenuto, del detto, non quindi un'assenza di
sentimento, un freddo narrare asettico. Anzi, la sua "delicatezza",
la sua "fragilità", assume un carattere di precisa affermazione, a
volte anche di velata denuncia: Maschere / d'un carnevale impazzito / nella
mente impotente / s'accalcano, / grottesche, cudeli, irridenti, / all'angolo il
cuore mettendo..."
Abbiamo detto del distacco, ma è proprio grazie a questa sua
prerogativa, quella di accostarsi quasi in punta di piedi al mondo poetico, al
suo mondo poetico, con grande rispetto e persino timore, che Ester Cecere
riesce a creare strutture poetiche dolci, apparentemente pacate, ma cariche di
una visionarietà eccezionale, che abbraccia la natura e l'uomo, visti con i
propri occhi, la propria mente e il proprio cuore: è lei stessa infatti la
protagonista del suo dire poetico, è lei al centro delle cose e del panorama
intero. Osservatrice attenta, la nostra autrice riesce a penetrare nel
minimalismo delle cose per ricavarne frutti di grande valore etico e morale,
fino ad allargare il suo orizzonte privato a quello più ampio dell'intero
consesso umano: "Ch'io viva / godendo / di notti senza luna. / Ch'io
viva / fremendo / allo schiaffo del maestrale. / Ch'io viva / apprezzando / il
volo basso dei pipistrelli"...
Ester Cecere si pone dinanzi al mondo e al suo mondo non con
atteggiamento di sufficienza né di ampollosa certezza: lei non ama definire le
cose, ma lascia sempre un velo di incertezza, di indefinitezza, il che non è
pessimismo o riluttanza o rassegnazione di fronte all'inestricabile visione e
percorso della vita, bensì consapevolezza poetica del grande mistero universale
che ci circonda e ci permea, nonostante l'affannosa ricerca di un perché ancora
squillante, sempre risuonante nel nostro cuore e nella nostra mente: "Incerta
/ la mia alba. / Nel mare rosso sangue / annaspo."
Questo libro di Ester Cecere, impreziosito da un'ottima e
dettagliatissima prefazione di Nazario Pardini, davvero è da "maneggiare
con cura", anzi da apprezzare e gustare con cura, perché offre motivi di
riflessione da cogliere attentamente nei suoi versi, e tra i suoi versi, brevi,
delicati, ma veramente profondi.
Ester Cecere, "Fragile, Maneggiare con cura",
Kairos Edizioni, Napoli, 2014. Prefazione di Nazario Pardini.
Giuseppe Vetromile
6/7/14
Nessun commento:
Posta un commento