
Può avere anche il dialetto, e nella fattispecie il dialetto
napoletano, un livello "alto" e colto di espressività poetica? Per
meglio dire, riferendoci alla lingua italiana, sappiamo molto bene che esiste
una modalità letteraria che si distingue dall'uso corrente, dal parlare
quotidiano, per un dire più elevato e più ricco, qualitativamente migliore; e
questo sia in produzioni di narrativa che di poesia, di saggistica o di altro
genere letterario. Quando si scrive, soprattutto quando si scrive, è normale
quindi che si faccia il miglior uso della nostra bella lingua italiana, ma ciò
vale, ripeto, anche per il dialetto? A parte i numerosi "distinguo"
che innalzano il dialetto a vera lingua (molti, infatti, asseriscono che il
napoletano lo è in effetti, e con dignità...), resta comunque la delusione e
l'amarezza di dover constatare che il dialetto è, ahimé!, spesso masticato
molto male specialmente quando lo si scrive. Non credo ci sia bisogno di essere
particolarmente esperti in questo campo, per accorgersi che, purtroppo, e
parlando in modo specifico del dialetto napoletano, non ci sia più quella
precisione, quella correttezza e quella forbitezza nel produrre scritti in
dialetto. I giovani napoletani tendono a scrivere così come parlano, e non
credo che questo sia del tutto corretto. D'altra parte non esistono più, o
forse sono rimasti ben pochi, importanti riferimenti e guide in questo campo,
poeti e scrittori classici di rilievo che a Napoli hanno fatto scuola,
contribuendo alla diffusione del buon dialetto scritto, parlato e cantato.
Non voglio dilungarmi su questo argomento, che andrebbe
meritatamente trattato in altre sedi. Ma mi fa molto piacere constatare che uno
di questi riferimenti importanti nel panorama attuale della letteratura
napoletana, è senz'altro, a mio avviso, il poeta Giovanni D'Amiano.
Il nostro poeta, il quale tiene con giusto orgoglio a
precisare che è di origini contadine, è riuscito a creare con il suo libro
"'E pprete 'e casa mia" un'opera importante che prende le distanze
dalla vasta e variegata produzione poetica in dialetto napoletano che possiamo
trovare attualmente in giro. Si distingue per vari motivi, e uno di questi,
forse il principale, è che il libro è dotato di tutti gli "strumenti"
per poter meglio comprendere i testi poetici in dialetto che vi sono inclusi:
un utile glossario dei termini napoletani alla fine, le scelte ortografiche
operate dall'autore, scelte che costituiscono a mio avviso un vero e proprio
vademecum del corretto scrivere napoletano, cosa che, unita a una buona
consultazione, anzi studio, della grammatica napoletana, potrebbe costituire un
ottimo supporto per i giovani (e, diciamolo pure, non più giovani) poeti
napoletani che volessero continuare ad esprimersi in dialetto. Un libro di
poesie, quindi, quello del D'Amiano, che, oltre ad essere letto per il piacere
intrinseco di assaporare poesie napoletane, va tenuto a portata di mano,
diciamo così, sulla scrivania dell'aspirante poeta vernacolare (e non!...), per
trarne profitto, suggerimenti, indicazioni, spunti e riflessioni indispensabili
e fruttuosi. Un libro completo, dunque, in questo senso, ed anche dal punto di
vista tipografico. Essendovi incluse più di 350 liriche (una sorta di
"summa poetica" del nostro autore), il libro si presenta agevole e
comodo grazie al formato non eccessivamente grande, facile da leggere e da
sfogliare. Ogni poesia, poi, è riproposta tradotta in italiano a pie' di
pagina, così che anche un non napoletano può gustare la bontà delle liriche del
nostro poeta.
Un libro importante anche sotto un altro aspetto: il legame
tra cultura, letteratura e mondo rurale. L'opera di Giovanni D'Amiano non è un
qualcosa di raccogliticcio, messo insieme tanto per realizzare un libro di
testi poetici slegati l'uno dall'altro e senza nessun filo conduttore interno
che possa dare un senso a tutto il progetto: no, il libro di D'Amiano ha il
preciso scopo, a mio avviso, di riportare a noi, attraverso il caleidoscopio
delle sue memorie e versi napoletani, un mondo contadino che purtroppo non è
più attuale, ma ricco di valori umani, storici, sociali che solo con
l'intelligente lavoro poetico del nostro è stato possibile far riemergere e che
ancora potrebbero esserci utili, almeno dal punto di vista del recupero storico
e del costume. Ecco dunque il legame tra l'antico mondo contadino e la poesia,
ecco il filo conduttore nettissimo e prezioso che si snoda leggendo queste
ottime poesie del D'Amiano.
Ma non è tutto qui. Oltre alla indubbia bontà e alla
generosità dell'opera poetica di Giovanni D'Amiano nel riproporci con i suoi
versi l'antica quotidianità e civiltà contadina, bisogna pur dire che le sue
poesie rappresentano davvero una pietra miliare nel panorama sovente
"accidentato" della poesia napoletana; voglio dire che le sue
liriche, al di là del contenuto "rustico", come giustamente afferma
anche nella sua dotta prefazione Armando Maglione, sono quadri perfetti non
solo per le immagini e le sensazioni che suscitano nel lettore, ma anche per il
dettato, lo stile e la forma, l'armonia interna e la musicalità, qualità tutte,
queste, che connotano la poesia del D'Amiano, inserendola sicuramente tra le
maggiori e più importanti opere poetiche del novecento letterario napoletano e
d'inizio di questo secolo.
Non è possibile riportare in questa mia breve nota gran
parte dei versi del libro del D'Amiano, tutti meritevoli di essere citati per
la grande forza espressiva, per le emozioni che suscitano, per il riverbero
musicale e anche storico che evocano; ma è opportuno chiudere con almeno una
sua poesia, rimandando ai lettori appassionati e desiderosi di apprendere ed
affinare stili, morfologia, grammatica e contenuti delle liriche in vernacolo
napoletano, un ulteriore e più ampio godimento di tutto il libro.
'A massaria addó i' songo nato
Che ssanta cosa si me lla scurdavo
'a massaria addó i' songo nato,
o si 'o tiempo ll'avesse scancellata
prèta pe pprèta, chiancarelle e ttrave.
Mmece, 'a vi' ccanne, tutta sgarrupata,
nera 'e fummo, perùta, stengenata,
sotto a ll'èvera 'e muro, ardìche, spine,
comm'a nu niro scheletro 'e restina.
Pare na capa 'e morta abbandunata
'e na perzona cara, ca vo' ajuto,
e, nfunno â vocca aperta e ll'uocchie fute,
porta ancora na pena ammattugliata.
Massaria triste e ssenza nu dimane,
campusanto 'e na favola schiantata,
ca straccia 'o core 'a pietto a cchi nc'è nnato,
e nce bene a scavà cu 'o sango ê mmane.
Nfi' a che mmoro, i' pure scavarraggio
dinto â mazzamma 'e chesti pprète antiche,
pe ttruvà n'ata vrénzola 'e curaggio
'a cierti ffacce, 'a cierti vvoce amiche.
Giovanni D'Amiano, "'E pprete 'e casa mia",
Edizioni Duemme, Torre del Greco (Na), 2013.
Prefazione di Armando Maglione. Pagg. 368, E. 15
Giuseppe Vetromile
6/1/13
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