
Quando
è la parola a costruire la realtà, il mondo, e non è, viceversa, il mondo a
essere narrato, allora siamo di fronte a vera costruzione poetica. Siamo di
fronte cioè ad un'invenzione forte e decisa che si concretizza, prende corpo,
si attualizza attraverso la parola poetica, attraverso la giustapposizione nel
verso dei termini consoni e adatti ad esplicitare non la realtà che è quella
che è, davanti ai nostri occhi, ma la realtà nuova, quella che potrebbe essere
e che in qualche modo deve essere. La realtà del sublimine e dell'inconscio, in fondo la realtà autentica e del
sentimento, non tanto e non proprio la realtà fenomenologica, fisica,
materiale, della quotidianità. I fatti sono ineluttabili, il mondo, si sa, va
come deve andare e nessuno, per quanto si sforzi, potrà mai cambiare le regole
del gioco, le leggi, le consequenzialità, le orbite dei pianeti. Resta però
sempre un angolo di buio consistente e importante, e non mi riferisco a quello
che poi la scienza va man mano illuminando e scoprendo, parlo bensì di quello
che è e rimarrà sempre inesplicabile e in un certo qual modo irrisolvibile
matematicamente e fisicamente: i sogni e l'amore, per esempio; la speranza e il
tempo. In ultima analisi anche l'uomo, come essenza, al di là della sua
materialità.
Ecco:
la poesia reinventa e ricostruisce questo mondo "parallelo", più vero
e più genuino. Lo ricostruisce di volta in volta, continuamente, come una
turbina che genera nuova elettricità dal moto fisico delle pale. La poesia
trasforma la materia. La poesia assorbe ed assume in sé gli strati più profondi
della fisicità del mondo, fino a scavare nell'incomprensibile e
nell'irrazionale per trarne lacerti di veridicità, di possibilità, di speranza
addirittura. E' un ciclo inverso meraviglioso, come dicevo all'inizio, quando
davvero la poesia riesce a "stanare" il mondo nascosto, sotterraneo
e/o interno, latente in ciascuno di noi, per portarlo in superficie, alla luce
del sole. E sono spesso cose "fragili", delicate, perché possono
scomporsi maneggiandole, o possono sciogliersi come neve al sole.
Queste
campionature di fragilità di Melania Panico sono l'esempio più indovinato e
coerente di un lavoro poetico davvero illuminato e indovinato, capace di
riportare a noi comuni individui le profondità e i misteri del mondo e
dell'uomo, ricreando e rimodellando via via la materia e il sentimento con le
parole e i termini, con i versi e con i brani poetici più consoni e opportuni.
Si tratta di un lavoro inconscio, automatico, forse, che la poetessa riesce a
trascrivere sulla pagina; ma certamente è un lavoro intelligente, poi, perché
lei stessa ne diventa subito consapevole, appropriandosene immediatamente al
fine di ricercare meglio, di scandagliare meglio, nel crogiolo delle emozioni e
delle sensazioni sotterranee, e poi per poterle "lavorare" meglio,
dal punto di vista stilistico e lessicale (non per nulla la nostra autrice è
anche una bravissima filologa!).
Qui
si tratta dunque di seguire, per certi versi, il suggerimento di Ungaretti,
quando affermava che nel corpo poetico deve sempre aleggiare un'aura segreta,
di mistero, di allusione: Melania Panico ha questa possibilità e capacità, e
attua una scrittura che prende corpo da sé, irrorata da quella profondità
misteriosa che non è tenebra senza senso, bensì vibrazione emotiva esprimibile
soltanto attraverso una parola non usuale, non ovvia, non banale.
Non
poteva dunque trovare titolo più indovinato, Melania Panico, per le sue
"Campionature di fragilità", corroborato anche dalla specialissima e
originale prefazione di Davide Rondoni, quando per esempio ribadisce che
Melania "non è poetessa dell'incanto, ma della composizione."
Verissima, questa affermazione! Le "fragilità", le cose
"fragili" di Melania Panico, di cui lei stessa è, immediatamente dopo
l'"ispirazione", consapevole, come dicevo, sono il prodotto del suo
cesello, del suo lavorìo sulla parola, e quindi non vengono rese sic et sempliciter, crude e grezze, così
come il cuor comanda, bensì subiscono il vaglio e il filtro severi di una
creatività consapevole, libera e intelligente.
Non
parliamo del contenuto, non è necessario e del resto non è rintracciabile a
prima vista nelle poesie di Melania Panico, perché, come dicevo, ella si erge
al di sopra di ogni banale e superficiale descrizione o figurazione delle cose
che vede e che sente: non sono infatti poesie in cui possiamo trovare albe e
tramonti, amori, voli d'uccelli e passeggiate sul lungomare, nei suoi versi,
come sovente accade in molta letteratura poetica o pseudopoetica attuale. No,
la nostra eccellente autrice anima le cose e il mondo, ricostruisce e rilancia
il substrato segreto, celato nelle profondità del mondo e dell'uomo, mette in
risalto ciò che noi, sopiti dall'ovvietà del quotidiano, non riusciamo più ad
immaginare. Le sue poesie, i suoi versi spiazzano, ci costringono a seguire
canali diversi, alternativi, ci costringono a ricercare altri significanti,
inducendoci ad attivare quei meccanismi sacrosanti, finalmente, del sogno
proiettato oltre il possibile, dell'immaginazione costruttiva. E' una poesia
che ci prende per mano, ed è dunque anche per questo poesia autentica, poesia
alta. Solo un paio di esempi, per illustrare questa presa, questo invito
multiplo da parte della nostra autrice: "Dovrebbero pentirsi le navi / di oltraggiare il porto / dovrebbero
seguire il loro destino lieve / appoggiarsi come a un'idea"; e ancora:
"Fermenta l'aria adagiata alla
porta: / la stanza è il luogo delle idee immature".
"Campionature
di fragilità" è un corpo poetico diviso in due sezioni: "Cose
accantonate" e "Rinascite". L'Autrice ha così voluto suddividere
i suoi testi in questa sua prima opera letteraria; ma il filo del suo discorso
poetico non si interrompe affatto, è continuo e lineare, persino logico, in
quanto le "fragili" cose accantonate: riflessioni, "sorrisi tenuti da parte / custoditi sulla
bocca dello stomaco", "le
parole sul lastrico", assumono poi un'aura nuova, di speranza, di
"rinascita" appunto, dove "Si
sciolgono grumi di incomprensione ".
E'
una poesia forte, essenziale, decisa, acuminata, dall'impronta personalissima, che
non utilizza ridondanze stucchevoli, quella di Melania Panico; una poesia che
ha l'urgenza di dire le cose ma le dice con il dovuto affondo poetico, con il
dovuto spessore semantico.
Un'opera
prima cui certamente seguiranno altre, perché con Melania Panico la poesia di
questo primo scorcio del nuovo secolo ha forse trovato, tra gli emergenti, un
esponente di riguardo, da seguire con grande attenzione e plauso.
Melania
Panico, "Campionature di fragilità", Edizioni La Vita Felice, Milano,
2015; prefazione di Davide Rondoni.
Giuseppe
Vetromile
28/5/15
"Si sciolgono grumi di incomprensione
le campionature di fragilità
hanno seguito la ferita gravida
si prestano al pensiero feroce
alla visione campale
lo strascico delle cose rapprese
è predisposizione alla cura
ricerca dell'ala guerriera.
Il peso da dare alle cose
lo scriviamo ad occhi aperti."
Melania Panico, classe 1985, vive e svolge la sua attività di insegnante di italiano e latino a Sant'Anastasia (Napoli). E' laureata in Filologia moderna. Alcuni suoi testi sono stati pubblicati in antologie. Ha partecipato e partecipa a diversi concorsi letterari nazionali distinguendosi sempre tra i primi classificati. Ha ottenuto recentemente il 1° Premio al Concorso "Ambrosia" di Milano, nel 2014, il 2° premio al Concorso "Conversiamo al Casale" di San Salvatore Telesino (Bn) sempre nel 2014, e nel 2015 è risultata vincitrice del 1° premio al Concorso "La Fenice aquilana". Ha inoltre ottenuto il Premio della Giuria alla XII Edizione del Concorso nazionale di Poesia "Città di Sant'Anastasia" del 2014. Frequenta gli ambienti letterari del territorio campano e anche nazionali, prendendo parte attivamente ad incontri di poesia, convegni, rassegne letterarie. E' frequentemente invitata come moderatrice e relatrice in occasione di presentazione di libri di poesia e di narrativa. Ha ricevuto riconoscimenti dalla critica di settore.
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