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Buona lettura e buona consultazione.

domenica 7 giugno 2015

Melania Panico e le sue "Campionature di fragilità"

Quando è la parola a costruire la realtà, il mondo, e non è, viceversa, il mondo a essere narrato, allora siamo di fronte a vera costruzione poetica. Siamo di fronte cioè ad un'invenzione forte e decisa che si concretizza, prende corpo, si attualizza attraverso la parola poetica, attraverso la giustapposizione nel verso dei termini consoni e adatti ad esplicitare non la realtà che è quella che è, davanti ai nostri occhi, ma la realtà nuova, quella che potrebbe essere e che in qualche modo deve essere. La realtà del sublimine e dell'inconscio, in fondo la realtà autentica e del sentimento, non tanto e non proprio la realtà fenomenologica, fisica, materiale, della quotidianità. I fatti sono ineluttabili, il mondo, si sa, va come deve andare e nessuno, per quanto si sforzi, potrà mai cambiare le regole del gioco, le leggi, le consequenzialità, le orbite dei pianeti. Resta però sempre un angolo di buio consistente e importante, e non mi riferisco a quello che poi la scienza va man mano illuminando e scoprendo, parlo bensì di quello che è e rimarrà sempre inesplicabile e in un certo qual modo irrisolvibile matematicamente e fisicamente: i sogni e l'amore, per esempio; la speranza e il tempo. In ultima analisi anche l'uomo, come essenza, al di là della sua materialità.
Ecco: la poesia reinventa e ricostruisce questo mondo "parallelo", più vero e più genuino. Lo ricostruisce di volta in volta, continuamente, come una turbina che genera nuova elettricità dal moto fisico delle pale. La poesia trasforma la materia. La poesia assorbe ed assume in sé gli strati più profondi della fisicità del mondo, fino a scavare nell'incomprensibile e nell'irrazionale per trarne lacerti di veridicità, di possibilità, di speranza addirittura. E' un ciclo inverso meraviglioso, come dicevo all'inizio, quando davvero la poesia riesce a "stanare" il mondo nascosto, sotterraneo e/o interno, latente in ciascuno di noi, per portarlo in superficie, alla luce del sole. E sono spesso cose "fragili", delicate, perché possono scomporsi maneggiandole, o possono sciogliersi come neve al sole.
Queste campionature di fragilità di Melania Panico sono l'esempio più indovinato e coerente di un lavoro poetico davvero illuminato e indovinato, capace di riportare a noi comuni individui le profondità e i misteri del mondo e dell'uomo, ricreando e rimodellando via via la materia e il sentimento con le parole e i termini, con i versi e con i brani poetici più consoni e opportuni. Si tratta di un lavoro inconscio, automatico, forse, che la poetessa riesce a trascrivere sulla pagina; ma certamente è un lavoro intelligente, poi, perché lei stessa ne diventa subito consapevole, appropriandosene immediatamente al fine di ricercare meglio, di scandagliare meglio, nel crogiolo delle emozioni e delle sensazioni sotterranee, e poi per poterle "lavorare" meglio, dal punto di vista stilistico e lessicale (non per nulla la nostra autrice è anche una bravissima filologa!).
Qui si tratta dunque di seguire, per certi versi, il suggerimento di Ungaretti, quando affermava che nel corpo poetico deve sempre aleggiare un'aura segreta, di mistero, di allusione: Melania Panico ha questa possibilità e capacità, e attua una scrittura che prende corpo da sé, irrorata da quella profondità misteriosa che non è tenebra senza senso, bensì vibrazione emotiva esprimibile soltanto attraverso una parola non usuale, non ovvia, non banale.
Non poteva dunque trovare titolo più indovinato, Melania Panico, per le sue "Campionature di fragilità", corroborato anche dalla specialissima e originale prefazione di Davide Rondoni, quando per esempio ribadisce che Melania "non è poetessa dell'incanto, ma della composizione." Verissima, questa affermazione! Le "fragilità", le cose "fragili" di Melania Panico, di cui lei stessa è, immediatamente dopo l'"ispirazione", consapevole, come dicevo, sono il prodotto del suo cesello, del suo lavorìo sulla parola, e quindi non vengono rese sic et sempliciter, crude e grezze, così come il cuor comanda, bensì subiscono il vaglio e il filtro severi di una creatività consapevole, libera e intelligente.
Non parliamo del contenuto, non è necessario e del resto non è rintracciabile a prima vista nelle poesie di Melania Panico, perché, come dicevo, ella si erge al di sopra di ogni banale e superficiale descrizione o figurazione delle cose che vede e che sente: non sono infatti poesie in cui possiamo trovare albe e tramonti, amori, voli d'uccelli e passeggiate sul lungomare, nei suoi versi, come sovente accade in molta letteratura poetica o pseudopoetica attuale. No, la nostra eccellente autrice anima le cose e il mondo, ricostruisce e rilancia il substrato segreto, celato nelle profondità del mondo e dell'uomo, mette in risalto ciò che noi, sopiti dall'ovvietà del quotidiano, non riusciamo più ad immaginare. Le sue poesie, i suoi versi spiazzano, ci costringono a seguire canali diversi, alternativi, ci costringono a ricercare altri significanti, inducendoci ad attivare quei meccanismi sacrosanti, finalmente, del sogno proiettato oltre il possibile, dell'immaginazione costruttiva. E' una poesia che ci prende per mano, ed è dunque anche per questo poesia autentica, poesia alta. Solo un paio di esempi, per illustrare questa presa, questo invito multiplo da parte della nostra autrice: "Dovrebbero pentirsi le navi / di oltraggiare il porto / dovrebbero seguire il loro destino lieve / appoggiarsi come a un'idea"; e ancora: "Fermenta l'aria adagiata alla porta: / la stanza è il luogo delle idee immature".
"Campionature di fragilità" è un corpo poetico diviso in due sezioni: "Cose accantonate" e "Rinascite". L'Autrice ha così voluto suddividere i suoi testi in questa sua prima opera letteraria; ma il filo del suo discorso poetico non si interrompe affatto, è continuo e lineare, persino logico, in quanto le "fragili" cose accantonate: riflessioni, "sorrisi tenuti da parte / custoditi sulla bocca dello stomaco", "le parole sul lastrico", assumono poi un'aura nuova, di speranza, di "rinascita" appunto, dove "Si sciolgono grumi di incomprensione ".
E' una poesia forte, essenziale, decisa, acuminata, dall'impronta personalissima, che non utilizza ridondanze stucchevoli, quella di Melania Panico; una poesia che ha l'urgenza di dire le cose ma le dice con il dovuto affondo poetico, con il dovuto spessore semantico.
Un'opera prima cui certamente seguiranno altre, perché con Melania Panico la poesia di questo primo scorcio del nuovo secolo ha forse trovato, tra gli emergenti, un esponente di riguardo, da seguire con grande attenzione e plauso.

Melania Panico, "Campionature di fragilità", Edizioni La Vita Felice, Milano, 2015; prefazione di Davide Rondoni.

Giuseppe Vetromile

28/5/15

"Si sciolgono grumi di incomprensione
le campionature di fragilità
hanno seguito la ferita gravida
si prestano al pensiero feroce
alla visione campale
lo strascico delle cose rapprese
è predisposizione alla cura
ricerca dell'ala guerriera.
Il peso da dare alle cose
lo scriviamo ad occhi aperti."

Melania Panico, classe 1985, vive e svolge la sua attività di insegnante di italiano e latino a Sant'Anastasia (Napoli). E' laureata in Filologia moderna. Alcuni suoi testi sono stati pubblicati in antologie. Ha partecipato e partecipa a diversi concorsi letterari nazionali distinguendosi sempre tra i primi classificati. Ha ottenuto recentemente il 1° Premio al Concorso "Ambrosia" di Milano, nel 2014, il 2° premio al Concorso "Conversiamo al Casale" di San Salvatore Telesino (Bn) sempre nel 2014, e nel 2015 è risultata vincitrice del 1° premio al Concorso "La Fenice aquilana". Ha inoltre ottenuto il Premio della Giuria alla XII Edizione del Concorso nazionale di Poesia "Città di Sant'Anastasia" del 2014. Frequenta gli ambienti letterari del territorio campano e anche nazionali, prendendo parte attivamente ad incontri di poesia, convegni, rassegne letterarie. E' frequentemente invitata come moderatrice e relatrice in occasione di presentazione di libri di poesia e di narrativa. Ha ricevuto riconoscimenti dalla critica di settore. 

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La mostra "Il respiro della materia / I colori dell’anima"

Due poesie di Gerardo Pedicini

L’ombra del tempo

(per Sergio Vecchio


L’ombra del tempo

è ferma alla tua porta

e tra i rami

vigila la civetta,

cara agli dei.

Nel silenzio della notte

avanza il giorno tra le spine

e il vento rode

le vecchie mura sibarite

intrise d’acqua e di memorie.

Dorme nel profondo la palude:

il Sele discende lento fino al mare

e svuota le tombe dei sacrari.

Ora è l’antica Hera,

ora è Poseidon a indicarti il cammino.

Alla deriva del vento

il tuo passo di lucertola

è rapido volo d’uccello.

Sotto la tettoia scalpita il treno

sugli scambi e rompe le stagioni

nel vuoto delle ore.

Nel laboratorio acceso di speranze

resti tu solo a sorvegliare

il perimetro antico delle mura

mentre vesti d’incenso i tuoi ricordi

tracciando sul foglio linee d’ombra.

***

I segni della storia

(ad Angelo Noce)


Cinabro è il fuoco dei ricordi:

passano rotte di terre nella mano

e sfilano i segni della storia.

Ombre e figure

alzano templi alla memoria.

Nell’antico corso del mare

si sospende la luce del giorno.

È un sogno senza fine.

Transita il tempo da un foglio all’altro

e incide in successione

ciò che già fu, ciò che sarà

nella tenue traccia del tuo respiro.

(Gerardo Pedicini)

Il libretto "I Poeti della rosa"